Avvertimento a Eni: «La licenza concessa da Israele è illegittima»
Secondo alcune organizzazioni umanitarie la licenza di esplorazione nel mare di Gaza viola il diritto internazionale
«Le licenze concesse da Israele per l’esplorazione nelle acque antistanti Gaza alla ricerca di gas sono illegittime». È questo l’avvertimento recapitato nei giorni scorsi a Eni e ad altre compagnie petrolifere tra cui l’inglese Dana Petroleum (una filiale della South Korean National Petroleum Company) e l’israeliana Ratio Petroleum. Mittente lo studio legale Foley Hoag per conto delle organizzazioni umanitarie Al-Haq, Al Mezan Center for Human Rights e Palestine Center for Human Rights (PCHR). Un testo che rappresenta una diffida «a desistere dall’intraprendere qualsiasi attività nelle aree della Zona G che ricadono nelle aree marittime dello Stato di Palestina», sottolineando che tali attività costituirebbero una flagrante violazione del diritto internazionale.
Le licenze erano state concesse il 29 ottobre scorso dal Ministero dell’Energia israeliano. Tre settimane dopo l’attacco di Hamas che ha provocato oltre mille vittime e nel pieno dei bombardamenti israeliani sulla Striscia di Gaza, che ad oggi hanno ucciso oltre 27mila persone.
Per Israele la Palestina non ha l’autorità per dichiarare i propri confini marittimi
L’area marittima interessata dalle esplorazioni, la Zona G, è adiacente alle coste di Gaza.
Il 62% della Zona G rientra nei confini marittimi dichiarati dallo Stato di Palestina nel 2019 , in conformità con le disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) del 1982, di cui la Palestina è firmataria. Israele non aderisce alla Convenzione e poiché non riconosce la Palestina come Stato sovrano ne contesta l’autorità a dichiarare i propri confini marittimi.
Anche per le Zone E e H sono state emesse gare e anche in questo caso le aree rientrano nei confini marittimi dichiarati dello Stato di Palestina. Rispettivamente per il 73% e per il 5%.
«Si tratta di una violazione del diritto internazionale»
Secondo le organizzazioni umanitarie, la concessione di licenze per l’esplorazione nella Zona G «costituisce una una violazione del diritto internazionale umanitario (DIU) e del diritto internazionale consuetudinario. Le gare d’appalto, emesse in conformità con il diritto interno israeliano, equivalgono all’annessione de facto e de jure delle aree marittime rivendicate dalla Palestina». Poiché Israele è forza di occupazione, secondo il diritto internazionale, gli è vietato sfruttare le risorse limitate non rinnovabili del territorio occupato. Inoltre, «Israele, in quanto autorità amministrativa de facto nel territorio occupato, non può esaurire le risorse naturali per scopi commerciali che non siano a beneficio della popolazione occupata».
Il 5 febbraio, l’organizzazione umanitaria Adalah ha inviato una lettera al ministro dell’Energia israeliano e al procuratore generale di Israele, chiedendo la revoca delle licenze per l’esplorazione del gas concesse nella Zona G. Adalah, inoltre, chiedeva l’annullamento di eventuali gare pendenti nelle aree che rientrano nei confini marittimi palestinesi e l’immediata cessazione di qualsiasi attività che comporti lo sfruttamento delle risorse di gas nei confini marittimi della Palestina. Secondo l’organizzazione, infatti, Israele non possiede alcun diritto sovrano su quelle risorse. Inoltre, l’esplorazione e lo sfruttamento del gas nelle aree marittime della Palestina violano palesemente il diritto fondamentale del popolo palestinese all’autodeterminazione, che comprende la gestione delle sue risorse naturali.
La diffida rappresenta un avvertimento a Eni e alle altre compagnie petrolifere
La diffida rappresenta un chiaro avvertimento a Eni e alle altre compagnie petrolifere: utilizzare le licenze israeliane potrebbe renderle complici in crimini di guerra. Ciò in riferimento all’indagine per genocidio che la Corte internazionale dell’Aia sta conducendo. E che potrebbe configurare come “saccheggio” lo sfruttamento di risorse naturali appartenenti ai Territori palestinesi occupati da Israele.
Le organizzazioni sono pronte a utilizzare ogni strumento legale possibile, sia civile che penale, «a meno che le società non si astengano da attività in violazione del diritto internazionale nei Territori occupati, comprese le acque palestinesi». La demarcazione unilaterale di Israele dei suoi confini marittimi per includere le aree marittime della Palestina «non solo viola il diritto internazionale ma perpetua anche un modello di lunga data di sfruttamento delle risorse naturali dei palestinesi per i propri guadagni finanziari e coloniali. Israele cerca di saccheggiare le risorse della Palestina, sfruttando quella che è già solo una frazione delle legittime risorse naturali dei palestinesi».