Perché la cattura e stoccaggio di CO2 non ha futuro: il caso del Regno Unito
La cattura, utilizzo e stoccaggio di biossido di carbonio rischia di vincolare i consumatori ai combustibili fossili in eterno
Quando si chiede ai capi di governo quali soluzioni adotteranno per raggiungere l’ambizioso traguardo della neutralità climatica entro il 2050, molti citano una tecnologia in particolare: la cattura, utilizzo e stoccaggio di CO2 (CCUS).
Presentata come una panacea, la CCUS è anche oggetto di numerose critiche. Le principali si concentrano sul fatto che la tecnologia è ancora troppo inefficiente, costosa e non sperimentata su vasta scala. In effetti, nel report “Curb your enthusiasm” (“frena il tuo entusiasmo”), l’organizzazione Carbon Tracker ha riscontrato una tendenza costante a fare promesse eccessive. A fronte di una tecnologia con livelli di modularità così bassi da richiede una costosa progettazione personalizzata.
Costi e inefficienza: la Iea riduce le aspettative sulla CCUS
I costi di implementazione della CCUS in settori hard-to-abate (come cemento, acciaio e centrali elettriche) sono ancora elevati. Per contro, spesso la tecnologia non è stata dimostrata su larga scala. I costi di cattura sono più elevati nelle applicazioni in cui l’anidride carbonica deve essere estratta dai gas di combustione con basse concentrazioni di CO2 e molte impurità. Sfortunatamente, queste sono le applicazioni in cui la CCUS sarebbe maggiormente necessaria.
La maggior parte degli osservatori indipendenti sta ridimensionando le proprie aspettative sulla CCUS come strumento per raggiungere la neutralità climatica. In particolare, negli ultimi due anni, l’Agenzia internazionale per l’energia (Iea) ha ridotto di un terzo il ruolo previsto delle CCUS entro il 2030 nel suo scenario di zero emissioni nette. Per il 2050 che la CCUS contribuisca all’8% della riduzione totale delle emissioni, con un ruolo importante in alcune applicazioni industriali e nell’idrogeno. Più limitato il peso nel settore energetico.
Il caso del Regno Unito
Carbon Tracker ha analizzato il ruolo che la cattura, utilizzo e stoccaggio della CO2 (CCUS) riveste nel percorso del Regno Unito verso la neutralità climatica. Nel dicembre 2023 il Regno Unito ha delineato una strategia molto ambiziosa che mira a catturare da 20 a 30 milioni di tonnellate di CO2 all’anno entro il 2030. Per supportare questa tecnologia, prevede di stanziare 20 miliardi di sterline in finanziamenti pubblici.
Nella strategia Net Zero del Regno Unito, la CCUS è quindi un pilastro per la decarbonizzazione delle attività industriali, del settore energetico e della produzione di crediti di emissioni negative. Il Comitato sui cambiamenti climatici (Ccc) britannico sostiene nel “The Sixth Carbon Budget” che la CCUS è «una necessità e non un’opzione per raggiungere lo zero netto».
Carbon Tracker ha scoperto che, nel giro di pochi mesi, le stime dei costi per implementare la CCUS sono più che raddoppiate. In compenso, la necessità di catturare la CO2 potrebbe essere molto più limitata di quanto previsto. Ad esempio, si stima che la necessità di impianti a gas con CCUS potrebbe essere un terzo rispetto alle stime precedenti a causa della crescita delle energie rinnovabili, dello stoccaggio delle batterie e delle tecnologie flessibili.
Il think tank ha evidenziato come il Regno Unito sta puntando su applicazioni in cui la CCUS potrebbe vincolare i consumatori a un futuro costoso e basato sui combustibili fossili, nonostante l’esistenza di alternative più pulite e più economiche.
CCUS e idrogeno: un rapporto destinato a finire in fretta
Per avere successo, il Regno Unito dovrebbe concentrarsi sull’impiego della CCUS in applicazioni hard-to-abate. Come il settore del cemento che, attualmente, non ha alternative di decarbonizzazione (il primo impianto commerciale è in fase di realizzazione in Norvegia). Al contrario, spiega Carbon Tracker, la cattura della CO2 può essere evitata nel settore siderurgico, poiché l’idrogeno ha un potenziale nettamente migliore nella produzione di acciaio “verde”.
A proposito di idrogeno: secondo il rapporto di Carbon Tracker la CCUS potrebbe vedere un’implementazione positiva nell’idrogeno blu, cioè prodotto a partire dal metano ma catturando la CO2 liberata. La tecnologia è infatti piuttosto matura e inizialmente potrebbe contribuire a rimpiazzare l’idrogeno grigio, cioè dove non c’è cattura della CO2. Tuttavia, sebbene a breve termine l’idrogeno blu sia più competitivo dell’idrogeno verde, ovvero basato su fonti rinnovabili, questa tendenza potrebbe invertirsi già all’inizio del prossimo decennio. Le prospettive dunque sono estremamente incerte. «Ci aspettiamo che la domanda futura di idrogeno sarà molto inferiore alle attuali proiezioni ottimistiche, soprattutto nei settori riscaldamento e trasporti. L’idrogeno verde potrebbe soddisfare la domanda e saturare il mercato», spiega Lorenzo Sani, analista di Carbon Tracker e autore del rapporto.
Imprese come Tata Steel e British Steel stanno già abbandonando i piani per installare la CCUS presso le loro strutture nel Regno Unito a favore di un passaggio verso i forni elettrici. Con ogni probabilità, inoltre, le turbine a idrogeno saranno fonti più economiche di generazione di energia flessibile rispetto alle centrali a gas-CCS entro il 2030.
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Investire nella CCUS, un esborso enorme a scapito delle rinnovabili
Il più grande progetto di cattura di CO2 nel Regno Unito prevede la conversione della gigantesca centrale elettrica Drax, nello Yorkshire settentrionale. Secondo Carbon Tracker, richiederebbe un corposo schema di sovvenzioni da parte del governo che potrebbe vincolare i soldi dei contribuenti a un contratto lungo (15-25 anni) e costoso (26-43 miliardi di sterline). L’elettricità risultante potrebbe essere fino a tre volte più costosa per i consumatori finali rispetto a quella prodotta dall’eolico offshore.
Insomma, impartire la CCUS come unica soluzione tecnologica significherebbe continuare ad adoperare i combustibili fossili. La cattura e lo stoccaggio di CO2 finirebbe per trasferire il denaro dei contribuenti nei già consistenti profitti dell’industria dei combustibili fossili. «La tecnologia CCUS si è dimostrata molto più complessa e costosa del previsto, mentre le riduzioni dei costi delle energie rinnovabili hanno cambiato radicalmente il panorama», continua Sani. «Anche se il governo sta svolgendo un ruolo importante nel de-risking di nuovi progetti, è urgente che riesamini i suoi obiettivi e concentri le sue risorse su applicazioni ad alto valore come cemento e idrogeno».
Infine c’è la questione del mercato delle quote di CO2 (carbon market). Nel Regno Unito, dopo il distacco dal mercato europeo, il sistema di scambio di emissioni ha subìto una grave volatilità a causa della bassa liquidità e della saturazione del mercato. Il valore di una tonnellata di CO2 è scesa da 100 sterline per tonnellata a 31 sterline a febbraio. Prima di puntare così massicciamente sulla cattura e lo stoccaggio di CO2, insomma, il Regno Unito deve rendere il panorama di questa tecnologia più autosufficiente e competitivo. Altrimenti, investire nella CCUS si rivelerà un esborso enorme, a scapito di risorse più efficienti e rinnovabili.