La cattura e lo stoccaggio di CO2 prolungano la nostra dipendenza dal petrolio
Un nuovo studio mostra che la cattura e lo stoccaggio della CO2 ha allungato fino a 84 anni la vita di un giacimento petrolifero in chiusura
La cattura e lo stoccaggio della CO2 potrebbero prolungare – anche all’infinito – la nostra dipendenza dal petrolio. Possiamo dedurlo da uno studio pubblicato sulla AAPG Bulletin, rivista dall’American Association of Petroleum Geologists.
L’indagine si concentra su un giacimento petrolifero canadese che, grazie alla CCS (Carbon Capture and Storage), ha ampiamente superato la sua data di scadenza, il 2016. Il geologo che ha effettuato lo studio, Menhwei Zhao, è entusiasta. Il confronto dei dati di più di 22 anni di attività mostra che «il recupero potenziato del petrolio potrebbe estendere la durata della piscina ad altri 39 o addirittura 84 anni».
Si tratta di una delle pratiche più diffuse di riutilizzo dell’anidride carbonica catturata. La miscela di CO2 e acqua viene iniettata nel pozzo e fa risalire il petrolio da regioni altrimenti non raggiungibili. Secondo i calcoli di Zhao, il bacino studiato potrebbe ancora produrre 1,5 milioni di barili di petrolio all’anno fino al 2100.
La cattura e lo stoccaggio di CO2 riportano in vita giacimenti di petrolio morenti
Il giacimento di Weyburn Midale, della provincia del Saskatchewan, in Canada, era agli sgoccioli. Ma la data di chiusura designata si è progressivamente allontanata grazie alla cattura e allo stoccaggio di CO2 nel suolo. Le evidenze, sostiene Zhao, promettono «risultati simili» su larga scala. E potrebbero dare ossigeno alla diffusione di una pratica controversa già ampiamente sostenuta dall’industria petrolifera.
Nel 2022 la brasiliana Petrobas ha iniettato nel suolo 10,6 milioni di tonnellate di CO2. La statunitense Occidental sta estendendo questa tecnologia nel Bacino Permiano, tra Texas e Nuovo Messico. I governi canadese e albertano stanno investendo 15,3 miliardi di dollari per nuovi progetti di cattura e stoccaggio di CO2. Il Regno Unito promette 20 miliardi di sterline destinate alla pratica. Negli Stati Uniti i produttori di petrolio e gas possono richiedere 85 dollari per tonnellata di anidride carbonica seppellita, che diventano 60 se riutilizzata per la produzione di nuovo petrolio. Le due pratiche sono strettamente legate: uno studio ha mostrato che 22 dei 32 impianti di CCS in tutto il mondo sfruttano la cattura di CO2 per prolungare la vita di giacimenti destinati alla chiusura.
Una notizia ottima per l’industria petrolifera, pessima per il clima
Se per l’industria petrolifera la notizia sembra positiva, per il clima è pessima. Un’inchiesta di DeSmog su 12 progetti di cattura e stoccaggio di CO2 palesa «una litania di obiettivi mancati». In gran parte dei casi, secondo l’indagine, il gas non viene seppellito correttamente o viene reimmesso interamente in atmosfera.
Gli esperti di clima insorgono. Secondo la docente di Harvard Naomi Oreskes, «questo tipo di progetti non solo non aiuta, ma perpetua il nostro uso di combustibili fossili in un momento critico della storia in cui abbiamo bisogno di fare il contrario». David Schlissel dell’Institute for Energy Economics and Financial Analysis denuncia che, da ogni tonnellata di CO2 iniettata in pozzo, possono emergere fino a tre barili di petrolio. Ma le emissioni generate quando questi ultimi vengono bruciati sono 1,5 tonnellate. In pratica, sostiene l’esperto, «i risparmi ottenuti con la cattura della CO2 sono annullati».
Il timore diffuso è che la pratica serva ad allontanare i cambiamenti strutturali di cui abbiamo bisogno per contrastare la crisi climatica.
E le previsioni vanno in quella direzione. Una stima del dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti riferisce che, dei 600 miliardi di barili estraibili negli Usa, circa 400 non sono raggiungibili con i metodi tradizionali. 200 di questi, tuttavia, potrebbero vedere la luce grazie all’immissione di CO2 nel suolo.
La cattura e lo stoccaggio di CO2 toglie fondi allo sviluppo di energie pulite
I produttori di petrolio e gas festeggiano quello che a tutti gli effetti sembra un accanimento terapeutico e climatico. Lo scorso anno Vicki Hollub, amministratore delegato della Occidental Petroleum, ha dichiarato che grazie alla CCS «non c’è motivo per non produrre petrolio e gas per sempre».
La prospettiva sembra concreta. Quando nel bacino di Weyburn è stato annunciato il progetto di cattura e stoccaggio di CO2, nel 1997, la pratica rappresentava la promessa di tenerlo attivo almeno altri 25 anni. Adesso, secondo Pipeline Online, il giacimento «va ancora forte» e potrebbe generare almeno un miliardo di barili di petrolio. I giacimenti morenti potrebbero quindi trovare nuova vita che li conduca ben oltre il 2050, data limite per l’azzeramento delle emissioni nette a livello mondiale.
Previsione che potrebbe rafforzare la già imponente ondata di sussidi destinati alla pratica. Soldi dei contribuenti che dovrebbero servire a contrastare la crisi climatica ma che, secondo il docente del Massachusetts Institute of Technology Charles Harvey, tolgono fondi allo sviluppo di energie pulite e accrescono il mercato dell’oil&gas.