Quel piccolo mondo ultras che dimentica il tifo e insegue il business

L’inchiesta che ha portato agli arresti dei leader delle curve di Inter e Milan racconta un giro di affari a cui non sono estranei ...

Un gruppo di tifosi nella metropolitana di Milano © vale/Unsplash

Quello che emerge con prepotenza dagli arresti e dalle perquisizioni avvenute lunedì mattina a Milano non è tanto che nelle curve degli stadi si annidino pericolosi criminali. Quello è un dato di fatto. Da oltre un secolo le curve sono state utilizzate come recinto dove confinare devianza e marginalità. Come gabbia dove fare sfogare rabbia e violenza. Per evitare che queste esplodano verso i veri responsabili del malessere e delle ingiustizie che lacerano la società in cui i tifosi vivono e che li ha marginalizzati.

Da qui, da sempre, il terreno fertile per le infiltrazioni della criminalità, più o meno organizzata. No, quello che emerge con prepotenza da questo ultimo blitz – che segue faide, gambizzazioni e omicidi – è che le curve degli stadi si sono vendute l’anima in nome del profitto. E che oggi la mentalità ultras, non ovunque per fortuna, ha abbandonato troppo spesso la gioia per il tifo e si è trasformata in una passione triste. Una patetica variante dell’ideologia neoliberale.

Colpevolizzare gli ultras per proteggere Inter e Milan

La seconda questione è la responsabilità delle società di calcio, in questo caso Inter e Milan. Al di là delle decisioni della magistratura, e del fatto che queste responsabilità portino a conseguenze amministrative o penali. O addirittura anche sportive. Questo dipenderà dalle varie interpretazioni possibili delle norme, sia per la giustizia ordinaria, solitamente più efficace, che per quella sportiva, notoriamente lassista. Ma anche qui, ci interessa di più come l’assoluzione mediatica nei confronti dei due club poggi sulla colpevolizzazione tout court del tifoso.

Perché qui scatta il riflesso pavloviano dello scaricare tutte le colpe del marcio del pallone sugli ultras. Sulla teppa che, come aveva ben scritto Valerio Marchi, ha la funzione di folk devil e capro espiatorio su cui scaricare responsabilità. Se l’imputazione ai tifosi è quella di fare affari, dentro e fuori gli stadi, è chiaro che non possono fare tutto da soli. Ma lo avranno fatto con chi attraverso il pallone produce giri di affari miliardari, e controlla tutto quello che avviene dentro e fuori gli stadi. Ovvero i club. Se sono “criminali” alcuni ultras, dal punto di vista penale, lo sono anche i club, almeno moralmente.

Non solo ultras, ma anche politici e imprenditori

Lunedì gli agenti della Direzione centrale anticrimine della Polizia di Stato, della Squadra Mobile e della Guardia di Finanza di Milano – coordinati dalla Dda della Procura del capoluogo lombardo – hanno eseguito diciannove misure cautelari. E una cinquantina di perquisizioni. Nei confronti di persone indagate a vario titolo per associazione per delinquere, con l’aggravante del metodo mafioso, estorsione, lesioni ed altri gravi reati. Tra gli indagati e tra gli arrestati – di cui non facciamo i nomi perché sono ovunque e perché non è questo il punto della questione: non si parla di singoli ma di sistema – ci sono diversi leader e figure di spicco delle curve di Inter e Milan. Gente che spesso è invitata in televisione, sulle radio o sui giornali. Oltre a un consigliere regionale eletto con il centrodestra.

Le imputazioni hanno a che fare con la gestione degli affari dell’indotto di San Siro, dai parcheggi alla vendita di gadget e panini, fino a quello dei biglietti per le partite. Un giro che poi si estende ben oltre i confini della città e abbraccia l’estorsione, il riciclaggio e il traffico di stupefacenti. Ma non è che all’improvviso, da un giorno all’altro, i tifosi si siano presi tutto questo indotto da stadio alle spalle dei club. O dei mass media che fino a ieri li intervistavano. È un lungo processo, che comincia una trentina di anni fa quando, a seguito dell’ingresso delle televisioni a pagamento, del rifacimento degli stadi e dell’aumento spropositato del costo dei biglietti, si è deciso che il calcio dovesse essere un business. E che la sua stella polare dovesse essere il profitto.

A questa equazione tra calcio e profitto, in cui hanno sguazzato per anni imprenditori e politici, si sono adeguati anche i tifosi. E così, a quei pochi soldi che arrivavano dalla gestione di parte dei biglietti e dall’organizzazione della logistica per le trasferte, si è affiancato un vero e proprio giro di affari allargato. Che ha presto sconfinato dallo stadio e ha cominciato a occuparsi di territori sempre più ampi. E i territori si controllano con il traffico di stupefacenti e assicurando voti. Non è un caso che sui profili di molti dei tifosi arrestati appaiano foto con più o meno noti imprenditori e personaggi politici.

La responsabilità morale di Inter e Milan

Se quindi nel calcio tutto è business, come prevedono le norme dell’ideologia neoliberale che hanno trasformato gli appassionati in clienti e i tifosi in spettatori, non si capisce perché gli ultras non debbano fare affari. È più che legittimo, in qualche modo. Piuttosto, può e deve fare tristezza che gli ultras si siano lasciati abbagliare dal realismo capitalista. E che abbiano sostituito l’allegra passione del tifo con le passioni tristi del guadagno. Ma la responsabilità, ancora una volta, è di chi ha deciso che questo è il migliore dei mondi possibili. E che il calcio deve essere un business.

Se negli stadi si lascia spazio prima alla criminalità e poi agli affari, non suoni strano se a un certo punto questi affari avvengano in quella zona grigia tra legalità e illegalità in cui gravitano ciclicamente anche parte dell’imprenditoria, della politica e del crimine più o meno organizzato. E che si debba parlare di risse, estorsioni, minacce, gambizzazioni e omicidi. E a questo circo partecipano tutti. Sarà la magistratura a determinare se sono riscontrabili rilievi penali nei rapporti che i tifosi coinvolti hanno avuto con giocatori, allenatori e dirigenti delle due squadre (per adesso non indagati) di cui sono uscite le intercettazioni. Anche qui non facciamo i nomi, perché il problema non sono il capitano dell’una o l’allenatore dell’altra squadra. Ma il sistema.

E sarà di nuovo la magistratura ordinaria a decidere se arriveranno delle incriminazioni per Milan e Inter. Dato che oltre a questa inchiesta che ha portato agli arresti di lunedì ce ne è in corso una parallela che guarda proprio ai due club. E sarà poi la magistratura sportiva a decidere se ci saranno penalizzazioni in classifica. Siamo solo nella fase delle indagini. Ma quello che ci preme dire adesso è che da un punto di vista etico e morale i club sono sicuramente corresponsabili di quanto accaduto. E che chiunque abbia un minimo di dignità, prima di criminalizzare i tifosi dovrebbe avere il coraggio di prendersela anche con e i padroni del pallone. Poi si può anche piangere per le passioni tristi dei tifosi votati al business.