Valori a tavola: i piatti delle feste della redazione

Un tour delle tradizioni gastronomiche delle feste da nord a sud Italia insieme alla redazione di Valori.it

© Francesco Sgura/iStockPhoto

Sarà che siamo tutte e tutti molto italiani, ma anche a Valori.it il primo pensiero associato al periodo dell’anno che va dal 23 dicembre al 6 gennaio è il cibo.

Che siano cene per pochi intimi o affollate tavolate con famiglie di sangue o di adozione, le vacanze natalizie sono costellate di momenti di socialità in cui si mangia tutti insieme. Spesso e volentieri facendo omaggio a tradizioni culinarie che nel resto dell’anno ci vorrebbe troppo tempo, spazio o trigliceridi seguire. Piatti che nascono poveri, talvolta vere e proprie ricette antispreco, anche se spesso gli anni li hanno arricchiti e nobilitati.

La redazione di Valori è composta da persone che provengono da tutta Italia, ecco i nostri piatti del cuore. 

Da Roma il piatto antispreco per eccellenza, poi al nord con radicchio, aglio e lenticchie

Partiamo da Roma, dove Andrea Baranes rilancia sul piatto antispreco per eccellenza, il supplì, sollecitandoci su un anniversario importante: i 150 anni dalla nascita. Ascoltare per credere!

suplì piatti delle feste
Vari Supplì © FrederikBianko/Wikimedia Commons

Direttamente da Milano Andrea Di Turi vuole vincere facile e propone il piatto universale delle tavole italiane delle feste: cotechino e lenticchie. «A cena a Natale, a capodanno e, perché no, tutto l’anno! Del resto ci sono anche le lenticchie: più sostenibile di così?». E per chi vuole, il cotechino diventa anche vegano.

Il nostro itinerario nel nord gastronomico prosegue con i consigli di Maurizio Bongioanni, che ci racconta che il piatto delle feste per lui è la bagna caoda, pietanza povera per eccellenza. E ci raccomanda anche una piccola chicca: «Se si usa l’aglio di Caraglio (piccolo comune della Valle Grana) il giorno dopo non si hanno problemi di alito!».

Valentina Neri durante queste feste mangerà sicuramente pasticcio al radicchio di Treviso. «Non è dietetico, non è antispreco ma è sicuramente vegetariano: l’unico piatto in cui mia madre riesce a non infilare la pancetta!».

A Genova con colonna sonora e a Milano per non sprecare niente

Sulla tavola delle feste di Claudia Vago, in provincia di Genova, non manca mai la cima. È un piatto di carne, ma in cui di carne, in realtà, ce n’è davvero poca. Si tratta, infatti, di una tasca di carne di vitello riempita di verdure, frattaglie, uova, formaggio. Spesso anche di avanzi, caratterizzando la cima come piatto di recupero, almeno in origine. Una volta cucita questa sorta di “cuscino” («bell’oueggè strapunta de tùttu bun», canta Fabrizio De André in ‘A çimma) viene fatta bollire in un brodo. Si tratta di un piatto la cui preparazione è lunga e non semplice: il rischio che la carne si rompa facendo uscire il contenuto o diventi dura è altissimo, come ricorda sempre De André nella canzone («Carne ténia nu fâte néigra, nu turnâ dûa»). «Per questo è un piatto che a casa mia viene fatto poche volte all’anno e in occasioni speciali»

cima alla genovese piatti delle feste Chefpercaso Flickr
La cima alla genovese © Chefpercaso/Flickr

L’ultima proposta settentrionale la fa Luca Gariboldi con i mondeghilli, una ricetta della tradizione milanese. «Da noi l’inverno è sinonimo di lesso, per fare un buon bollito ci vogliono differenti tagli di carne, patate, carote e cipolle», questo vuol dire che è elevatissima la probabilità di avanzi. «E allora che fare? Polpette!». Anche se oggi si tende a rendere gourmet qualsiasi ricetta della tradizione, i mondeghilli sono per definizione basati sul riutilizzo di scarti: nessuna ricetta può porre limiti alle vostre ambizioni antispreco. Luca ci lascia con due avvertenze che prende molto sul serio:

  • passare il tutto nel tritacarne è un crimine contro la bontà.  Se avete fatto bene il lesso, la carne potrà essere facilmente spezzettata a mano, lasciando molte fibre intatte e un impasto grossolano. 
  • preso dai sensi di colpa, l’ultima volta ho cotto i mondeghilli in forno. Per carità, buonissimi anche così. Fritti però sono meglio.

In Puglia si frigge, a Napoli la minestra maritata

Spostiamoci decisamente di latitudine con Michela Calculli che ci porta a tavola con la sua famiglia a rendere omaggio a una ricetta povera della tradizione natalizia delle Murge baresi: le pettole. «Si tratta di frittelle di pastella che si mangiano tipicamente la sera della vigilia, motivo per cui le chiese durante la messa della mezzanotte puzzano tutte, irrimediabilmente, di fritto». Sono un piatto povero, gustoso, vegano, e richiamano la convivialità. Per Michela sono un viaggio nel tempo: «Mi ricorda la mia infanzia a Gravina e le mie zie che friggevano sul balcone o in cortile per evitare gli odori, peraltro inutilmente».

Rita Cantalino ci porta a Napoli e ci racconta la minestra maritata, «un piatto che ti resta nel cuore e, per i meno temprati, nei giorni successivi anche sullo stomaco». Anche in questo caso si tratta di un piatto povero, che la storia ha nobilitato e che è immancabile sulle tavole partenopee del Natale e della Pasqua. L’origine della ricetta è perduta nella storia, certo è che si tratta della canonizzazione di un amore: a maritarsi sono la carne e le verdure. «Le varianti sono migliaia, a casa mia si fa solo con manzo (a mia nonna non piaceva la gallina), con cui si fa un brodo, che viene poi aggiunto insieme alla carne alle verdure sbollentate a parte. Ci si aggiungono infine scorze di parmigiano a cubetti e gambetto di prosciutto, ma di quest’ultimo non amo il sapore da cotto per cui lo rifiuto, destando scandalo e generando occhiatacce e perplessità». Ultimo avvertimento: durante la preparazione, astenersi se di olfatto delicato. 

In Sardegna la zuppa gallurese e l’agnello in umido

Chiudiamo la nostra rassegna culinaria con due tappe in Sardegna.

Siamo a casa Tecleme, dove la zuppa gallurese è un affare talmente serio che Lorenzo ha dovuto chiedere l’approvazione di sua nonna per proporla. Anche in questo caso si tratta di una ricetta antispreco, tipica degli stazzi, i casolari galluresi un tempo usati come fattorie. «Gallurese lo è davvero, perché viene dal nord della Sardegna, ma zuppa non lo è più: a un certo punto a qualcuno è venuto in mente di infornarla, inzuppando prima il pane in un brodo di pecora grassissimo, a volte con tanto di lardo aggiunto». Resta un piatto dei poveri, anche se non un piatto povero: è protagonista delle feste, di matrimoni e della tavola del Natale. «Quella oggetto di attenzioni quasi religiose in casa mia è sostanzialmente uno sformato di pane raffermo, brodo di carne e formaggio pecorino, messi a strati come in una lasagna e cotti in forno fino a rendere il tutto filante dentro e croccante sopra». Qui una ricetta verosimilmente fedele, ma non assicuriamo l’approvazione della nonna di Lorenzo.

bacche di mirto
Bacche di mirto usate a casa di Maria Cecilia Cacciotto per insaporire l’agnello in umido

Anche Maria Cecilia Cacciotto siederà a una tavola sarda, dove sicuramente si mangerà agnello in umido insaporito con bacche di mirto o ginepro. La tradizione affonda le gambe nella storia più remota:  «L’economia dell’isola è sempre stata di tipo agropastorale e la stragrande maggioranza degli agnelli maschi è destinata alla tavola perché per l’allevatore rappresenta un costo non sostenibile». E per contorno? Carciofi in umido, di cui l’isola abbonda!

Qual è la tua ricetta delle feste preferita? Cosa non manca mai sulla tua tavola? Raccontacelo scrivendo a valorintavola@valori.it!