L’intelligenza irrazionale. Come l’IA alimenta le bolle finanziarie

L’IA entra in finanza e moltiplica i rischi di bolle e instabilità. Algoritmi simili, pochi attori dominanti e un mercato sempre più irrazionale

L'immagine è stata realizzata dalla redazione di Valori.it utilizzando Midjourney

«Ehi, ChatGPT, che azioni mi compro?» Potrebbe sembrare una domanda fatta per gioco, tanto per vedere che risposte si ottengono. Invece, secondo un articolo che riprende una ricerca svolta in 13 Paesi su 10mila investitori, uno su dieci si rivolge a una qualche intelligenza artificiale. Molti tra questi prenderebbero in considerazione l’idea di lasciare direttamente nelle mani dell’IA la scelta su quali transazioni finanziarie eseguire. Dalla ricerca, sembra che le risposte dei chatbot siano ragionevoli e prudenti, insistendo sul fatto che è impossibile predire l’andamento dei mercati, in ragione della complessità e della quantità di fattori che possono influenzarli.

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Come (non) funziona la finanza?

Il punto però è un altro, e rimanda al funzionamento dei mercati finanziari. Secondo la teoria economica, l’incontro di domanda e offerta forma il prezzo, e il prezzo a sua volta influenza domanda e offerta. Capiamo con un semplice esempio. Vado al mercato a comprare delle mele. Ma quel giorno ce ne sono poche (scarsità di offerta) e le vogliono tutti (molta domanda). Il prezzo tenderà quindi a salire, ma più sale il prezzo meno persone continueranno a chiedere le mele. Acquisteranno altri prodotti o andranno su altri mercati. Il calo della domanda porta quindi il prezzo a un nuovo equilibrio.

Funziona così per ogni mercato del mondo, tranne per uno – quello più grande e con i maggiori impatti sulle nostre vite: il mercato finanziario. In questo caso, più un titolo (azione, obbligazione o altro) è richiesto, più il prezzo sale. Ma l’aumento di prezzo non scoraggia la domanda, al contrario. In diretta antitesi con la legge della domanda e dell’offerta, quando il prezzo di un titolo sale, tutti vogliono comprarlo, e l’aumento di prezzo attira nuovi investitori. Fino al momento in cui un qualche evento magari in sé secondario innesca delle vendite. A quel punto la tendenza si inverte e si innesca una spirale al ribasso. È cosi che si creano le bolle. Ed è in questo senso che la finanza è intrinsecamente instabile e caratterizzata da comportamenti irrazionali, con fasi di euforia e panico

Questo andamento è esasperato dal fatto che le decisioni di investimento sono sempre più spesso fondate sul guardare se un determinato titolo sale o scende, non su come va la corrispondente azienda. Le scelte di acquisto e vendita dovrebbero basarsi sui cosiddetti fondamentali di una determinata impresa: se i suoi prodotti sono buoni, se ha una strategia aziendale valida, se è solida, se investe in ricerca e sviluppo, eccetera. In un sistema finanziario guidato da logiche speculative e di brevissimo periodo, invece, le decisioni si fondano sempre meno su una simile analisi (definita analisi fondamentale). Sono molti di più gli investitori che guardano unicamente l’andamento delle azioni nel recente passato, indipendentemente dai prodotti o servizi offerti dall’impresa corrispondente. In altre parole, le scelte di investimento si fondano sull’esame di grafici, prezzi e volumi di vendita sui mercati finanziari: la cosiddetta analisi tecnica.

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Effetto gregge e IA: quando gli algoritmi muovono i mercati

Su questa modalità di investimento in cui l’analisi tecnica domina su quella fondamentale – e prima ancora sulla visione di brevissimo termine che caratterizza la finanza – entra in gioco l’intelligenza artificiale. Lo sviluppo dell’IA applicato ai mercati finanziari ha conosciuto una crescita impressionante in pochissimi anni. Non solo e non tanto – come visto nell’introduzione – per investitori retail che chiedono consigli a ChatGPT, ma sempre più per grandi fondi e investitori istituzionali.

Semplificando, gli algoritmi dell’IA analizzano su base statistica un numero enorme di dati sull’andamento passato dei mercati finanziari, degli indici e dei singoli titoli, in modo da provare ad anticipare i segnali che porterebbero un’azione o altro titolo a salire o scendere. Cercando di “imparare” (machine learning nell’espressione inglese) come e perché nel passato i titoli andavano bene o al contrario crollavano, in modo da potere fare previsioni sull’andamento futuro dei mercati stessi. Disinteressandosi completamente di cosa produce la determinata impresa o anche solo di come si chiama. Il trionfo dell’analisi tecnica sui fondamentali dell’economia.

Ci sono però alcuni problemi, e non di poco conto. Primo, le società leader dell’IA si contano sulle dita di una mano, soprattutto quelle in grado di sviluppare software di analisi e apprendimento dei mercati finanziari. Secondo, questi algoritmi si nutrono delle stesse serie storiche e degli stessi dati. Il risultato è che le previsioni e le indicazioni rischiano di essere molto, troppo omogenee. O in altre parole, che i vari sistemi di IA consiglino di acquistare un certo titolo e di venderne un altro nello stesso momento. Il che potrebbe portare a un clamoroso effetto gregge, ovvero a mercati che si muovono all’unisono in risposta alle indicazioni dell’IA.

A segnalarlo non sono alcuni catastrofisti nemici della tecnologia, ma la Banca Centrale Europea che, in uno studio del maggio 2024, segnala esplicitamente che «l’intelligenza artificiale può distorcere la funzione di elaborazione delle informazioni dei mercati, aumentando il potenziale di crisi endogena dei mercati finanziari. […] L’interpretazione delle informazioni potrebbe diventare più uniforme se modelli sempre più simili con le stesse sfide e pregiudizi integrati fossero ampiamente utilizzati per comprendere le dinamiche dei mercati finanziari. Di conseguenza, l’intelligenza artificiale può rendere le conclusioni dei partecipanti al mercato sistematicamente distorte, portando a prezzi degli asset distorti, aumento della correlazione, comportamenti di gregge o bolle».

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Algoritmi che studiano algoritmi: la spirale della finanza automatizzata

In altre parole, fondandosi su pochissimi algoritmi che lavorano in maniera simile e con istruzioni e dati simili, tutti i principali attori riceverebbero nello stesso momento l’indicazione di acquistare o vendere un determinato titolo. Il rischio di bolle e crisi non nascerebbe “unicamente” da questo comportamento di gregge, ma anche dal fatto che tutti i partecipanti al mercato finanziario – anche quelli che non dovessero utilizzare l’intelligenza artificiale per decidere cosa comprare o vendere – saprebbero di tale andamento.

Se quasi tutti acquistano un determinato titolo basandosi sull’analisi tecnica, sarà questa a guidare domanda e offerta del titolo stesso, fissandone il prezzo sui mercati. Paradossalmente, un investitore che decidesse di fondare le proprie scelte sull’analisi fondamentale – ovvero ad esempio se un’impresa ha i conti in ordine, se effettivamente produce qualcosa di utile e di qualità – rischierebbe quindi di ottenere risultati peggiori.

Questo almeno nel breve termine. Tendenzialmente nel lungo periodo le quotazioni dovrebbero premiare le imprese migliori e penalizzare le altre. Il problema è che l’ottica di breve periodo è quella nettamente preponderante nel sistema finanziario.

Già un secolo fa, in una celebre analogia, J.M. Keynes spiegava il funzionamento dei mercati facendo l’esempio di un concorso di bellezza. L’economista ipotizzava il caso in cui chi indovina la futura vincitrice può vincere a sua volta un premio. Secondo Keynes, non bisogna scegliere la più bella secondo noi, ma capire quale sarà la più votata. Nelle sue parole, «non è quindi il caso di scegliere quelle che, secondo il proprio giudizio, siano veramente le più belle, nemmeno quelle che l’opinione media pensi che siano le più belle. Abbiamo raggiunto il terzo grado dove impieghiamo la nostra intelligenza per anticipare quella che è l’opinione media rispetto a quale dovrebbe essere l’opinione media. E ci sono alcuni, credo, che praticano il quarto, il quinto ed ulteriori passi».

Un secolo dopo, potremmo affermare che se alcuni giganti finanziari si affidano a pochi algoritmi per decidere se e quando effettuare un investimento, per l’insieme del mercato la sfida diventa capire il loro comportamento in modo da comprare o vendere subito prima che lo facciano loro. Magari sviluppando algoritmi che studino come si comportano gli algoritmi che analizzano i mercati finanziari. E così via.

Un progressivo e sempre più spinto allontanamento dai fondamentali economici che dovrebbero guidare i mercati, e che dovrebbero fondarsi sul domandarsi se una determinata impresa è sana ed è quindi un buon investimento, non su come reagirà un algoritmo alle notizie prodotte da un altro algoritmo. In altre parole, andiamo verso un sistema finanziario sempre più scollegato dalla realtà di cui dovrebbe essere al servizio, e sempre più autoreferenziale.

Il risultato si traduce in maggiore volatilità, rischio di bolle e impatti sull’insieme della stabilità finanziaria, comportamenti irrazionali nel nome di una presunta “intelligenza” che sempre più dovrebbe guidare le scelte di investimento.

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Un oligopolio al quadrato: pochi attori dominano IA e finanza

Se questi processi minano la stabilità finanziaria e rischiano di esasperare l’effetto gregge, l’IA può minacciare anche in altri modi il sistema finanziario. Come accennato, le imprese tecnologiche che elaborano gli algoritmi su cui fondare l’apprendimento sono pochissime, soprattutto con le necessarie competenze per operare in ambito finanziario. A questa fortissima concentrazione tecnologica fa eco quella sui mercati finanziari, con pochi gestori in posizione di forza.

Anche in questo caso pochissimi gestori di enormi dimensioni – in gran parte statunitensi – dominano il mercato e hanno partecipazioni rilevanti in praticamente tutte le più grandi imprese quotate. Come ricordato in un articolo intitolato Quattro fondi hanno comprato il mondo intero in una spirale perversa questi stessi fondi figurano anche tra gli azionisti delle principali società tecnologiche, ovvero quelle in corsa per sviluppare gli algoritmi da utilizzare per selezionare gli investimenti sui mercati finanziari.

Riassumendo: un oligopolio di imprese tecnologiche fornisce algoritmi che guidano gli investimenti sui mercati, mercati dominati da un oligopolio di investitori istituzionali, che sono i loro maggiori azionisti. Cosa potrebbe mai andare storto?

A ricordaci cosa potrebbe andare storto è lo stesso studio della Banca Centrale Europea, secondo la quale «l’adozione diffusa dell’intelligenza artificiale potrebbe aumentare la concentrazione del mercato nel settore dei servizi finanziari. L’integrazione dell’IA nelle strutture aziendali può richiedere ingenti investimenti fissi iniziali e comportare rischi economici. Potrebbe essere più facile per le aziende più grandi con infrastrutture dati consolidate e reti di terze parti ottenere le conoscenze tecnologiche e i livelli di disponibilità dei dati necessari».

«Come altre tecnologie dell’informazione – prosegue la BCE –, l’intelligenza artificiale potrebbe rivelarsi un mercato in cui il vincitore prende tutto. L’intelligenza artificiale può quindi contribuire a un ulteriore spostamento del potere di mercato in un ambiente sempre più digitalizzato, portando a una maggiore concentrazione nel sistema finanziario, sia tra gli attori esistenti che tra i nuovi attori (ad esempio nel settore tecnologico). In definitiva, ciò potrebbe comportare la permanenza di un minor numero di istituzioni sul mercato, un’accelerazione delle realtà “troppo grandi per fallire” e il trasferimento delle rendite economiche dai consumatori alle istituzioni finanziarie».

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La prossima bolla finanziaria potrebbe essere l’intelligenza artificiale

Se queste sono le – fosche – prospettive a medio termine, il rischio di una bolla finanziaria potrebbe essere molto più vicino. Nei paragrafi precedenti abbiamo visto come i mercati seguano fasi sempre più ravvicinate e sempre più intense di euforia e di panico. Ovviamente alla base i fondamentali hanno un loro peso. Quando si pensa che un’impresa o un settore possano avere risultati positivi, però, molti investitori si lanciano nell’affare. L’arrivo di capitali spinge al rialzo i prezzi dei corrispondenti titoli, e l’aumento dei prezzi attira nuovi investitori. Tutto questo fino al momento in cui – per i motivi più svariati – la corsa si blocca e parte l’effetto inverso.

Questo fenomeno non solo potrebbe essere sempre più guidato dall’IA, ma ancora prima potrebbe riguardare oggi la stessa IA, o meglio le imprese che se ne occupano. Che si voglia o no, è il futuro verso cui si sta andando. Una tecnologia univocamente considerata una vera e propria rivoluzione in moltissimi ambiti sociali, lavorativi, economici e produttivi. Il problema è se tutti si aspettano che l’IA sia il futuro, tutti investono nei titoli delle maggiori imprese del settore. Il che, secondo diversi osservatori, sta appunto gonfiando una gigantesca bolla.

La storia non è nuova. Nel 2000 crebbe e poi scoppiò la “dot com” ovvero la bolla legata alle imprese tecnologiche e delle telecomunicazioni (erano gli anni in cui internet arrivava in quasi tutte le case). Anche in quel caso, l’euforia portò giganteschi capitali a riversarsi su qualsiasi titolo tecnologico disponibile. Capitali che fecero schizzare il valore delle azioni, attirando nuovi capitali e portando a nuovi aumenti. La definizione stessa di bolla.

Tra il 1995 e l’inizio del 2000 l’indice Nasdaq (ovvero l’indice che segue l’andamento delle imprese tecnologiche statunitensi) quintuplicò di valore. A marzo del 2000 ecco l’evento scatenante, in questo caso la pubblicazione dei bilanci di alcune imprese con risultati deludenti rispetto alle aspettative. Un evento in sé limitato porta alcuni investitori a vendere, trascinando un effetto valanga. Dal massimo di 5.048 il 10 marzo del 2000 l’indice Nasdaq precipitò a 1.139 a ottobre del 2002. Una perdita media di oltre il 75% del prezzo dei titoli. Una media che nasconde il fallimento di moltissime imprese tecnologiche, travolte dallo scoppio della bolla.

Non è detto che per l’IA la situazione sia analoga. Gli elementi di preoccupazione sono però diversi. Non solo perché sempre più commentatori segnalano che il settore sarebbe sopravvalutato, ma anche perché, come accennato, parliamo di un settore molto concentrato, con pochissime imprese in posizione di forza. Soprattutto, imprese che stanno investendo l’una nell’altra, con i cosiddetti “investimenti circolari”. Nvidia dovrebbe investire 100 miliardi di dollari in OpenAI, e specularmente OpenAI dovrebbe acquistare i chip Nvidia. Rapporti simili si registrano tra e con Microsoft, Oracle, Intel e le poche altre imprese del settore. Come segnalato in un recente articolo è lo «stesso denaro che gira, si mescola, si confonde, alimenta aspettative sui mercati».

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«L’intera economia degli Stati Uniti al momento è tipo sette aziende che mandano avanti e indietro l’una all’altra mille miliardi di dollari finti» © Samuel W. Grant (@youcantsayitstrue su Instagram, per gentile concessione dell’autore)

A segnalare il problema sono ormai anche i massimi protagonisti dell’IA. Sam Altman, alla guida di Open AI, ha dichiarato nei giorni scorsi che «gli investitori sono sovraeccitati riguardo l’IA». Se è il classico segreto di Pulcinella e tutti sanno che i titoli sono sopravvalutati, perché si continua a investire? Semplicemente, finché le azioni continuano a crescere, conviene continuare a comprare, sperando di vendere e sfilarsi un momento prima che sia troppo tardi e lasciando il cerino in mano ad altri investitori.

Una situazione che ricorda la famosa orchestra del Titanic, che si dice che abbia continuato a suonare mentre la nave stava già affondando. Tutti continuano a comprare finché i prezzi continuano a salire, e finché i prezzi continuano a salire tutti continuano a comprare.

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È veramente un mercato irrazionale?

In conclusione, davvero dobbiamo parlare di una IA che sempre più provocherà bolle e instabilità sui mercati? E se è cosi, perché i maggiori investitori del mondo stanno scommettendo su algoritmi che possano predirre l’andamento dei mercati finanziari? Che senso ha una “intelligenza irrazionale” che distorce le informazioni? La realtà, come evidenziato anche dalle parole dei ricercatori della BCE, è che parliamo di un gioco in cui «il vincitore si prende tutto», che potrebbe portare a ulteriori concentrazioni di mercato e a sempre meno realtà sempre più too big to fail.

Con il diffondersi dell’IA nelle scelte di investimento anche tra i piccoli investitori il rischio di un effetto gregge potrebbe raggiungere delle vette mai viste prima nella pur turbolenta storia dei mercati finanziari.

L’instabilità e le crisi non sono però un male per tutti. Al contrario. La speculazione si nutre e prospera su volatilità e instabilità. Per definizione, speculare significa comprare qualcosa a un dato prezzo e rivenderlo il prima possibile al prezzo più alto possibile (oggi è anche possibile scommettere sul crollo di un titolo). Più le fluttuazioni dei prezzi sono esasperate e più sono veloci, più posso guadagnare dalla mia attività speculativa.

Il punto allora diventa riuscire a cavalcare questi eccessi e questa irrazionalità. Ovvero riuscire a comprare e vendere prima di tutti gli altri. Il che si traduce nell’avere le migliori informazioni e i migliori algoritmi di calcolo per superare la concorrenza. O, in altre parole, essere in posizione di forza tanto dal punto di vista tecnologico quanto finanziario. A quel punto, ovviamente, più il gregge è numeroso, ovvero più persone e più capitali sono coinvolti, maggiore è il bottino da portarsi a casa.

In questo senso, non dovremmo parlare di una intelligenza irrazionale. Al contrario. “L’oligopolio al quadrato” che oggi domina IA e mercati finanziari si sta muovendo in maniera perfettamente razionale. La realtà è che le montagne di capitali che circolano in questo settore stanno andando e sempre più potrebbero andare a vantaggio di pochissimi soggetti tecnologici e finanziari. Sempre meno imprese sempre più inondate di soldi che riescono quindi a creare una distanza sempre maggiore con la potenziale concorrenza. Non solo riguardo i software e lo sviluppo dell’IA, ma in maniera forse ancora più importante per muoversi sui mercati finanziari. Un pugno di aziende fortemente legate tra di loro e che possono sapere meglio del mercato e dei piccoli risparmiatori quando comprare e vendere.

In conclusione, il rischio principale è un’ulteriore separazione tra pochi soggetti in posizione di forza che si accaparrano tutti i benefici e il resto del sistema produttivo e della popolazione che rischiano di pagarne il prezzo. La tanto millantanta “rivoluzione” promessa dall’intelligenza artificiale potrebbe ridursi all’allargamento di una forbice già oggi inaccettabile per un sistema finanziario che esaspera le diseguaglianze e drena risorse dall’insieme della società e del sistema produttivo verso una piccola minoranza.


Tutte le immagini che illustrano l’articolo sono state realizzate dalla redazione di Valori.it utilizzando Midjourney.

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