La crescita sparita: in gioco c’è la tenuta dell’economia reale. Non solo dei conti pubblici
Le proiezioni pessime sulla crescita italiana delle istituzioni nazionali e internazionali richiedono azioni espansive. E fanno sospettare un uso politico delle stime economiche
La narrazione della incipiente crisi economica ha qualcosa di illogico ed estremamente sovversivo. Se il FMI prefigura «un indebolimento dell’espansione globale a fronte di crescenti rischi», dove il mercato finanziario potrebbe «intensificare i rischi per la crescita globale», il richiamo esplicito all’Italia è inedito ancorché ammantato nella retorica istituzionale: «all’interno dell’area dell’euro, le revisioni significative riguardano la Germania, dove le difficoltà di produzione nel settore automobilistico e la minore domanda esterna peseranno sulla crescita nel 2019, e per l’Italia dove i rischi sovrani e finanziari e le connessioni tra di essi stanno aggiungendo ostacoli alla crescita».
Le previsioni del World Economic Outlook 2018 del FMIProiezioni così nefaste di crescita richiedono misure espansive
Le recenti stime della crescita del PIL, particolarmente severe per il 2019, dovrebbero suggerire più di una cautela. Infatti, se la dinamica del PIL per il 2019 è caduta in soli due mesi da una prospettiva di crescita dell’1% allo 0,6% (Banca Italia e FMI), più che di sostenibilità economica dei conti pubblici, la politica (economica) dovrebbe predisporre delle misure tese a sostenere la crescita per evitare l’avvitamento di tutto il sistema produttivo, industriale e del lavoro.
In altri termini, le proiezioni di crescita per il 2019 così basse sono un allarme per il sistema economico e non per i conti pubblici. Sebbene Banca Italia, Commissione Europea e FMI abbiano segnalato un significativo rallentamento del PIL, l’esito di questa proiezione non può essere quella di prefigurare delle manovre correttive per garantire i saldi finanziari.
Se le istituzioni del capitale internazionali, europee e nazionali registrano un avvitamento del sistema economico così veloce, con dei sospetti rispetto alla tempistica, dovrebbero essere le prime a prefigurare e suggerire delle misure espansive. Il 2007 e il 2011 dovrebbero aver ben insegnato qualcosa circa gli effetti negativi dell’austerità espansiva.
Italia, urge cambiare le priorità della manovra finanziaria
Sebbene caduta nel dimenticatoio, la lezione di R. A. Musgrave, padre di tutti gli economisti pubblici, i compiti della pubblica amministrazione sono ancora validi:
- “stabilizzazione“, il cui compito è di garantire la piena occupazione e prezzi stabili;
- “allocazione”, in cui lo Stato interviene su come il sistema economico alloca le risorse in via diretta e indiretta;
- “distribuzione”, ovvero di come i beni prodotti sono distribuiti tra i membri della collettività.
Il governo, inoltre, dovrebbe prendere sul serio questi ammonimenti e modificare le priorità della manovra e, possibilmente, concordare con l’Europa un Piano d’azione sovranazionale.
Diversamente sono tutti colpevoli di un attacco all’economia pubblica come strumento per risolvere i nodi dello sviluppo capitalistico che è, per definizione, soggetto a forti oscillazioni.
La verità è, purtroppo, molto più semplice e disarmante: la crescita del reddito mondiale è da molto tempo rallentata, così come il commercio mondiale di beni e servizi. La guerra valutaria e commerciale hanno esacerbato la tendenza; non l’hanno determinata.
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Semmai sorprende come le istituzioni internazionali non abbiano ancora preso atto del rischio che, in ultima analisi, potrebbe diventare incontrollato se dovesse esplodere la bolla finanziaria dei derivati; questi ultimi valgono 2,2 milioni di miliardi, cioè 33 volte il Pil mondiale.
Il calo di investimenti e del commercio beni&servizi
In realtà non siamo mai usciti dalla crisi. A livello mondiale la crescita del PIL è molto lenta. Chiamiamo crescita e/o recessione la variazione di decimali.
Peggio ancora, gli investimenti non hanno dato nessun contributo reale. Quest’ultimi sono calati in rapporto al PIL e non è un buon segnale.
Anche il commercio mondiale di beni e servizi è calato in rapporto al Pil, ma molti Paesi si ostinano a consegnare la propria crescita al saldo attivo tra esportazioni-importazioni, compresa l’Italia.
L’appunto del FMI e Banca Italia è ben più grave di quello che può sembrare. C’è una tecnostruttura che reclama un ruolo politico a difesa degli interessi costituiti: la distanza tra previsioni economiche e realtà è diventata nel tempo così profonda negli ultimi anni (in peggio e/o in meglio), che dovrebbe far sorgere molti sospetti sull’uso anche politico delle stesse previsioni economiche.
Renzi vs. Conte: misure analoghe ma previsioni di crescita tanto diverse. Perché?
Se consideriamo il contenuto delle misure di politica economica del governo Renzi e/o Gentiloni e quelle per il 2019 adottate dall’attuale governo, ovvero il peso preponderante della spesa corrente rispetto agli investimenti, come dobbiamo interpretare la generosità delle aspettative di crescita durante il governo Renzi e così negative rispetto a questa compagine governativa?
Eppure il contenuto delle misure, il peso specifico della spesa corrente, non è poi così tanto diversa.
Che cosa è il reddito di cittadinanza se non un nuovo Jobs Act modello Lega-5 stelle?
Persino la famigerata quota 100 non è poi così tanto diversa dagli interventi previdenziali del governo Renzi prima e Gentiloni dopo.
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Crescita, stagnazione, recessione, depressione
Chi si occupa di congiuntura e fornisce previsioni su crescita, stagnazione, recessione e depressione, perde per strada la prospettiva storica. Infatti, l’economia capitalistica da sempre oscilla tra crescita, stagnazione e recessione. Storicamente sono intervenute anche delle vere e proprie depressioni come quella del Ventinove e quella del 2007.
Ma qual è la differenza tra recessione e stagnazione? Con stagnazione o economia stagnante si intende una situazione economica caratterizzata dal persistere di modeste variazioni del PIL e del reddito pro-capite, mentre il calo e/o variazione negativa (1 per cento) del PIL rispetto all’anno precedente è generalmente associata alla recessione.
La depressione, invece, è legata ad una caduta del PIL di almeno dieci punti. Nella definizione economica di recessione, stagnazione e depressione, però, non compaiono altre variabili e queste non sono meno importanti: per esempio ignora completamente ogni cambiamento del tasso di disoccupazione. Quindi la prospettiva e il luogo di osservazione della cosìddetta crescita, stagnazione, recessione e depressione è importante quanto e come il fenomeno indagato.
Inoltre, l’analisi dei fenomeni economici, in questo caso di crescita-stagnazione-recessione-depressione, dovrebbe essere misurata allargando il paniere di riferimento. La comparazione della dinamica del PIL e di altre variabili economiche dovrebbe entrare nella valutazione dei fenomeni oggetto della riflessione.
2000-2007: Italia cresciuta di 7,5 punti di PIL meno della media Ue
Restando al caso italiano, come dobbiamo interpretare la minore crescita di 7,5 punti di PIL rispetto alla media europea tra il 2000 e il 2007, cioè da ben prima che sopraggiungesse la depressione del 2007? Sebbene nel periodo non vi sia stata una recessione tecnica, semmai un rallentamento economico a cavallo della fine del millennio, il ritardo del Paese rispetto all’Europa, che con il tempo aumenta, dobbiamo intenderlo come stagnazione, recessione e/o depressione?
Ragionare dell’andamento congiunturale dell’economia è da sempre una attività particolarmente rischiosa, soprattutto se vogliamo estrarre dalla congiuntura delle presunte tendenze. Questa attività è diventata ancor più rischiosa dopo la crisi del 2007. Tutta la modellistica è precipitata perché è cambiata la natura quali-quantitativa dei fenomeni che si utilizzano per costruire l’analisi congiunturale.
Il paradigma è cambiato (e crea difficoltà di analisi)
I comportamenti delle imprese, dei consumatori, della pubblica amministrazione e le “guerre” commerciali e valutarie, per non parlare della incipiente bolla finanziaria, registrano delle variazioni anche violente e spesso inaspettate. Anche i moltiplicatori utilizzati per comprendere l’impatto dei provvedimenti governativi sulla crescita economica sono discutibili perché dal 2007 è cambiato il paradigma.
Crescita, stagnazione, recessione e depressione, quindi, sono diventate delle “narrazioni” che prestano il fianco a delle analisi più puntuali sulle reali trasformazioni tecno-economiche che la società nel suo insieme deve affrontare.
Il “braccino corto” della Commissione Ue e le maniche larghe di Palazzo Chigi
Abbiamo anche un altro e non banale fenomeno circa le previsioni economiche: le stime di crescita della Commissione europea tra il 2015 e 2018 (autunno) sono sistematicamente più basse rispetto alla crescita del PIL che effettivamente si realizza.
Perché sono sempre così basse quando nella storia le previsioni economiche sono quasi sempre più alte dei risultati reali? Non è che la Commissione Europea sottostimi la crescita per imporre misure economiche più restrittive?
Dall’altra parte, le stime del governo italiano, di qualsiasi colore, sono sempre più alte di quella che sarebbe plausibile. L’errore medio in termini di PIL reale è stato di 0,25% per lo stesso anno, di 1,15% per l’anno successivo e di 1,45% per quello ancora successivo.
È tutta l’economia internazionale a ristagnare. Qualche Paese è certamente più avvantaggiato e vive sulle spalle dei Paesi più deboli. Ma, senza una politica economica coerente, la stagnazione secolare da facile battuta per colpire l’attenzione degli uditori, diventerà lo spettro dei Paesi a capitalismo maturo.