Oceani sempre più acidi: ne fa le spese la farfalla di mare
Uno studio di un'equipe di esperti inglese ha rilevato lo scioglimento del guscio dei piccoli molluschi, dovuto all'abbassamento del pH dell'acqua di mare, conseguenza a ...
È una sorta di lumaca marina a rendere nota agli scienziati la prima “prova” dell’avanzamento del processo di acidificazione degli oceani. La cosiddetta farfalla di mare (nome scientifico: Limacina helicina antarctica), infatti, presenta un guscio che – ha spiegato uno studio coordinato dal centro di ricerca britannico sull’Antartico (British Antarctic Survey), pubblicato ieri su Nature Geoscience – non ha retto al progressivo abbassamento del livello di ph dei mari, e nelle aree oggetto di studio (in particolare il mare di Scozia) risulta essersi dissolto.
Se infatti è noto a tutto il potere devastante che il biossido di carbonio (CO2) ha sull’atmosfera terrestre, sia in termini di inquinamento che di surriscaldamento globale, si parla meno degli effetti che esso ha sull’acqua dei mari. Quest’ultima, infatti, assorbe oltre un quarto delle emissioni antropiche (ovvero generate dall’uomo) di CO2; quest’ultima, poi, a contatto con l’acqua si dissolve formando acido carbonico, il che incide appunto sul ph. Non stupisce, perciò, che dall’inizio dell’era industriale il livello di acidità degli oceani sia cresciuto del 30%.
Il mollusco studiato dagli esperti inglesi, che presenta normalmente due appendici a forma di ali (da cui il nome di farfalla di mare), vive tipicamente a circa 200 metri di profondità, e costituisce un alimento di grande importanza sia per la fauna marina che per la pulizia dei mari. La dissoluzione del guscio non implica la morte, ma rende questi esseri viventi più vulnerabili ai predatori e alle infezioni: problemi che, ammonisce infine lo studio, potrebbero riverberarsi sulla catena alimentare.