Germania, tra i “deportati” del carbone nella Ruhr
Circa 7.600 abitanti di una serie di villaggi tedeschi nel bacino della Ruhr stanno traslocando: le loro cittadine saranno rase al suolo per fare spazio ad ...
La cittadina rurale di Immerath e i comuni vicini, racchiusi tra il bacino della Ruhr ed il confine con i Paesi Bassi, in Germania, spariranno dalle carte. Già oggi, infatti, i centri abitati assomigliano a villaggi-fantasma: strade vuote, finestre chiuse, negozi abbandonati. Il motivo? Consentire al colosso dell’energia RWE di ingrandire la già immensa miniera di carbone a cielo aperto di Garzweiler.
A raccontare la storia è l’agenzia AFP che sottolinea come – visto l’andamento attuale del mercato dei certificati CO2 (le quote di emissione di gas ad effetto serra) – la vendita di carbone sia tornata ad essere particolarmente lucrativa. Per la RWE, inoltre, la lignite estratta a Garzweiler è doppiamente utile, dal momento che alimenta direttamente le centrali di proprietà della stessa azienda. Per questo la miniera Garzweiler I, aperta nel 1983 ed ormai in via di esaurimento, sarà rimpiazzata dalla Garzweiler II, che avrà una superficie pari a 48 chilometri quadrati (l’estensione di una città come Lione). E per fargli spazio, saranno costretti a traslocare circa 7.600 abitanti: molti di loro saranno i primi insediati a Immerath-Neu (Nuova Immerath), cittadina edificata ad hoc per ospitare i residenti del vecchio comune. Che sarà raso al suolo.
A finanziare l’intera operazione è la stessa RWE (il che lascia intendere quali possano essere i guadagni futuri). Il crollo dei “diritti” ad inquinare (i certificati CO2, appunto), è infatti un elemento che l’industria vuole sfruttare appieno. Così che la scelta del governo di Berlino di rinunciare al nucleare, anziché diventare unicamente un volano per lo sviluppo delle energie rinnovabili e pulite, potrebbe trasformarsi in un paradossale boomerang, essendo il carbone una delle fonti in assoluto più inquinanti e pericolose per la salute umana.
Già oggi, infatti, esso continua a rappresentare il 40% della produzione elettrica complessiva della Germania, contro il 25% in media del resto d’Europa. E i permessi accordati alla RWE, che valgono per l’estrazione di 1, 3 miliardi di tonnellate di lignite di qui al 2045, potrebbero incrementare ulteriormente la quota.
Nel mezzo di tali imperanti “ragioni” economiche, c’è però – forse – un piccolo spiraglio giuridico. Dall’inizio dello scorso mese di giugno, infatti, la Corte costituzionale tedesca (la più alta giurisdizione del Paese) sta valutando la legittimità dello spostamento della popolazione. Il tutto è nato dalla denuncia di un abitante di Immerath e di un’associazione ambientalista, secondo i quali lo sfruttamento del carbone non costituisce una «necessità imperativa» per la Germania, tale da giustificare il trasloco di migliaia di persone. La fonte fossile, dunque, non è indispensabile per assicurare alla prima economia europea l’approvvigionamento di energia di cui ha bisogno: un punto di vista condiviso anche dall’istituto di ricerca economica DIW (che ha pubblicato un rapporto sulla questione).
In attesa della decisione della Corte, che arriverà in autunno, i cittadini devono abbandonare i loro villaggi. Un “metodo” inusuale in Europa, ma non in Cina. E non a caso un gruppo di specialisti di Pechino si è recato in Germania per vedere in che modo la questione sia stata gestita. Al fine di replicare il sistema anche nel Paese asiatico. Su larga scala, ovviamente.