Filiera agro-alimentare: subisce la crisi da Covid, ma guarda alla sostenibilità
Due rapporti di Nomisma analizzano il comparto dell'agrifood. Evidenti i danni da Covid, ma anche la modifica delle scelte di consumo: sempre più sostenibili
59 miliardi di euro dal campo al piatto. È il valore aggiunto della filiera agroalimentare italiana, dall’agricoltura all’industria alimentare. Un settore fondamentale per il nostro Paese. Purtroppo anche questo comparto sta subendo i colpi della crisi da coronavirus. Li descrive bene il rapporto di Nomisma “L’industria alimentare italiana oltre il Covid-19”. Ma i percorsi virtuosi già intrapresi dal settore e le possibilità che l’avvenire (e l‘Ue) può riservare, sembrano prospettare scenari futuri non così sfavorevoli. Ha provato a tracciarli un altro studio di Nomisma, intitolato “Il sistema agroalimentare italiano di fronte ai nuovi scenari evolutivi”, presentato il 4 novembre al Forum delle Economie sulla filiera Agrifood – Terra Madre (evento organizzato da Unicredit, Slow Food e Nomisma). Due studi per raccontare presente e futuro di un settore cruciale, per l’Italia e non solo.
L’industria alimentare italiana oltre il CovidAnche l’agroalimentare subisce i colpi del Covid-19
La filiera agroalimentare italiana rappresenta un settore strategico per il Paese, anche per la sua rilevanza socioeconomica. Considerando solo la fase produttiva (agricoltura e industria alimentare), il valore aggiunto prodotto dall’agrifood si avvicina ai 59 miliardi di euro, al terzo posto in Europa dopo Francia (78 miliardi) e Germania (61 miliardi). Ma non tutte le filiere hanno le stesse performance. Ortofrutta, vino e prodotti lattiero-caseari sono quelli che apportano maggior plusvalore.
Secondo il focus Nomisma, il settore agrifood ha accusato i colpi inferti dalla pandemia, ma mai quanto il manufatturiero non alimentare. Nei primi mesi dell’anno (e quindi anche durante il lockdown) le vendite al dettaglio sul mercato nazionale nonché l’export di prodotti alimentari sono cresciuti a fronte di un settore manifatturiero in forte crisi. A partire dall’estate, invece, anche le performances del settore agroalimentare sono passate in territorio negativo. Il fatturato delle imprese del comparto, infatti, mostra un calo continuo a partire da aprile. E non fa presagire nulla di buono per la chiusura di un anno particolarmente complicato.
Qualche nota dolente
La mancanza di sbocco nel canale bar, ristoranti e alberghi (a causa della chiusura, o della ridotta attività, durante i lockdown) e il crollo del turismo stanno pesando negativamente, soprattutto per i prodotti lattiero-caseari e il vino. Proprio quest’ultimo prodotto, eccellenza del Made in Italy, nei primi sette mesi del 2020 ha visto calare l’export a valori di oltre il 3%.
Gli effetti della pandemia si sono fatti sentire anche su un settore resiliente e anticiclico come l’agroalimentare. Stiamo assistendo a un progressivo assottigliamento della classe media: un trend negativo che potrebbe andare a segnare una diminuzione nei consumi e un impoverimento di quelli alimentari. Lo dimostra l’aumento delle vendite di agroalimentari nei discount (dall’11,2% nel 2013 al 14,4% nel 2019).
Consumi: nuovi approcci nelle scelte e sostenibilità al primo posto
Il report di Nomisma disegna un quadro di forte cambiamento nei comportamenti degli italiani durante e dopo il lockdown sul fronte food. Gli italiani sono usciti dalla crisi più attenti al 100% Italiano (26%), alla tutela dell’ambiente (22%), al legame prodotto-territorio (16%), alla salute (15%) ma anche alla convenienza (14%).
Ciò si è tradotto non solo in un incremento degli acquisti nei mercati agricoli. Il 20% degli italiani ha basato le scelte dei prodotti alimentari da mettere a tavola sul principio della sostenibilità, preferendo cibi prodotti con metodi a basso impatto ambientale. Ben il 49%, invece, ha scelto i prodotti da mettere nel carrello sulla base dei benefici che apportano al benessere e alla salute.
Per Giancarlo Licitra, fondatore e managing director di LGB, «la sostenibilità non è più solo un payoff: prima si sceglieva il fornitore più economico e non il più sostenibile, ora è vero anche il contrario». È vero che il Covid ha messo in sofferenza il ceto medio, ma cresce l’esigenza di coniugare economicità, qualità e sostenibilità.
E l’agrifood italiano è pronto a recepire i cambiamenti
Secondo Paolo De Castro, membro della Commissione Agricoltura del Parlamento Europeo: «negli ultimi dieci anni ci siamo dimostrati molto virtuosi e l’agroalimentare italiano è tra i più sicuri al mondo. Come superficie a biologico siamo già oltre il 15%».
Non c’è comunque da adagiarsi sugli allori. Per Francesco Sottile, Slow Food Italia: «Servono comunque politiche di piccola scala per un mondo che non è di minoranza: migliaia di piccole aziende che sono come tessere di un prezioso mosaico agronomico e culturale». È importante che la politica, quindi, non si focalizzi su sistemi industriali che non guardano alla biodiversità al benessere animale e alle produzioni responsabili.
Altra necessità, spiega Sottile, è «interrompere il consumo di suolo. Che non va inteso solo in senso edilizio: anche un usi irragionevoli dei pesticidi portano inevitabilmente alla desertificazione del terreno». Sarebbe quindi necessario intervenire, laddove vi sia bisogno di ripensare il modello di produzione agricola.
Superare le difficoltà attuali sarà possibile con “Farm to Fork”?
Il progetto strategico ouropeo Farm to Fork per l’attuazione della transizione verso sistemi agroalimentari sostenibili incoraggerà sempre di più gli agricoltori ad adottare pratiche rispettose dell’ambiente. Saranno destinati circa 10 miliardi di euro per la transizione ecologica in agricoltura da spendere nel 2021-22, parte dei quali proprio per gli investimenti aziendali. In Italia sarà possibile usufruire di 2,4 miliardi con una intensità di aiuto che arriverà fino al 75% (ovvero la copertura degli investimenti sarà per il 75% pubblica e per il 25% privata).
L’attuale situazione è definita da Stefano Gallo, responsabile Territorial Development & Relations di Unicredit «ricca di chiaroscuri», in bilico tra gli effetti della pandemia e le opportunità future. È per questo che Unicredit e Nomisma hanno in cantiere un progetto di checkup delle filiere. L’analisi aiuterà a far emergere i punti di forza e di debolezza del settore, identificherà le aree strategiche di intervento, faciliterà il confronto con gli stakeholder e aiuterà a coaudivare i futuri interventi attraverso la combinazione di risorse pubbliche e private.