Amazzonia: ecco chi lucra sulla deforestazione illegale
Allevamenti intensivi, esportatori di carne, distributori e banche. Un'inchiesta di Global Witness rivela chi guadagna grazie alla deforestazione illegale
Le foreste pluviali dell’Amazzonia, in Brasile, vengono distrutte e minacciati da affari miliardari che poggiano sulla deforestazione illegale. In particolare i boschi dello Stato del Parà. La denuncia è contenuta in un rapporto intitolato “Beef, Banks and the Brazilian Amazon”. Una circostanziata indagine pubblicata a fine del 2020 da Global Witness, ong con sede a Londra, specializzata nella difesa dell’ambiente e dei diritti umani. Il documento descrive un sodalizio di compagnie commerciali, società finanziarie e di servizi. E, pur specificando livelli di consapevolezza e responsabilità ben differenziati, chiama in causa:
- multinazionali brasiliane dell’allevamento intensivo e del commercio di carne come Marfrig, JBS e Minerva;
- grandi esportatori di merci verso Cina, Europa e Stati Uniti;
- famosi brand della grande distribuzione e ristorazione quali Walmart, Carrefour e Burger King;
- società di revisione come la norvegese DNV-GL e l’americana Grant Thornton;
- banche e finanziatori internazionali come Blackrock, Deutsche Bank, Barclays, Santander, HSBC e Morgan Stanley, operanti sotto gli occhi dei rispettivi governi.
Amazzonia: le foreste che non ci sono più
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L’interazione tra questi soggetti compone quindi una catena che spinge la cancellazione – tramite roghi o abbattimento degli alberi – delle foreste per fare spazio alle coltivazioni per i mangimi e ai grandi ranch degli allevatori, frenando gravemente la lotta ai cambiamenti climatici. Senza contare che la devastazione di questi habitat si traduce in perdita di biodiversità irreparabile, violazioni dei diritti umani delle popolazioni indigene e contatti pericolosi tra uomo specie e selvatiche (ricordate il coronavirus?!).
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L’inchiesta accende i riflettori anche sulle dinamiche politiche e corruttive che sosterrebbero il sistema al cui interno JBS, Marfrig e Minerva sono cresciute nel tempo. Ricordando che anche il controverso, a dir poco, attuale presidente brasiliano Bolsonaro ha avuto sempre l’appoggio della lobby delle grandi proprietà terriere, i tre principali operatori del settore della carne bovina in Brasile ancora negli anni ’90 erano imprese relativamente piccole. Mentre la loro trasformazione in aziende multinazionali di rilievo globale sarebbe poi derivata innanzitutto dagli ampi sussidi governativi ricevuti alla fine degli anni 2000. Ma Global Witness non si limita a riportare ciò sul conto delle tre corporations.
“Beef, Banks and the Brazilian Amazon” ricorda infatti che «nel 2017, dirigenti di Marfrig e JBS sono rimasti coinvolti nell’enorme operazione Autolavaggio. Uno dei più grandi scandali di corruzione di tutti i tempi. Un dirigente di JBS ha ammesso di aver corrotto 1.829 politici per un importo di oltre 100 milioni di dollari. Nel frattempo, il proprietario di Marfrig Marcos Molina ha pagato 19 milioni di dollari di risarcimento dopo che un membro del personale della sua azienda è stato accusato di corruzione».
Come se non bastasse, «un macello Minerva è stato indagato nel 2017 per presunta corruzione di ispettori del ministero dell’Agricoltura». Benché la società abbia precisato che «non è stata presentata alcuna denuncia contro il suo personale». E ha aggiunto di aver «collaborato pienamente con le indagini».
Migliaia di ettari disboscati illegalmente: inefficaci i controlli
Quanto alle cifre, solo nel 2017 le tre compagnie avrebbero macellato più di 18 milioni di bovini. Coprendo oltre il 40% della macellazione in Amazzonia e il 64% delle esportazioni di carne bovina nazionali. Un volume di capi allevati e macellati elevatissimo e su cui grava più di qualche ombra, sulla quale si focalizza l’inchiesta degli attivisti.
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Nel Pará, stato con una superficie maggiore di Francia, Spagna e Portogallo insieme, tra il 2017 e il 2019 «JBS ha acquistato bovini da almeno 327 ranch in cui si è verificata deforestazione. Marfrig da 89 e Minerva dal 16». E «i dati satellitari del governo brasiliano mostrano che un’area boschiva di oltre 20mila campi da calcio è stata sgomberata in questi ranch. Del tutto illegalmente».
Un dato confortato da sei casi di studio inclusi nel rapporto che – scrive Global Witness – “illustrano come JBS, Marfrig e Minerva hanno acquistato bestiame in più anni da allevamenti implicati nella deforestazione illegale”.
Un fatto che configurerebbe una violazione degli obblighi legali delle società di non acquistare da ranch che non siano autorizzati a disboscare. E nello stesso tempo mette in crisi il già criticato sistema di verifica volontario che le compagnie affidano a società di revisione terze specializzate, le citate DNV-GL e Grant Thornton. Ma non è tutto. Se al computo dei fornitori diretti si aggiungesse la deforestazione attribuita a fornitori terzi, su cui le compagnie non hanno obbligo di controllo e revisione, i campi di calcio diventerebbero addirittura 160mila.
Finanziamenti garantiti che non badano al clima
Un disastro che ha portato alla sospensione dei negoziati per il cosiddetto Cattle Agreement tra Greenpeace e le compagnie. Ma soprattutto una catastrofe ambientale rispetto alla quale nessuno può chiamarsi fuori, dichiararsi inconsapevole. Non i finanziatori che, tramite prestiti e acquisto di azioni, e pur senza violare obblighi formali, continuano a sostenere le compagnie coinvolte direttamente o indirettamente nella deforestazione illecita. E tanto meno i grandi esportatori e gli acquirenti finali della carne. Le informazioni raccolte da Global Witness sono infatti di dominio pubblico e i fatti raccontati spesso vengono reiterati.
Le cifre economiche in gioco, d’altra parte, sono abbastanza alte da far sì che qualcuno si copra occhi e orecchie. JBS, Marfrig e Minerva hanno beneficiato tra il 2017 e il 2019 di ben 9 miliardi di dollari tra prestiti e investimenti, il 44% dei quali da soggetti con sede nell’Ue e negli USA. E solo la Francia «ha una legge che impone alle grandi imprese, comprese le banche, di identificare e prevenire gravi danni all’ambiente e ai diritti umani, che copre la necessità di agire contro la distruzione delle foreste».