La benzina non scompare e diventa l’energia dei poveri
Energia, trasporti, riscaldamento globale. E gli intrecci con la finanza. Ogni settimana il punto sui cambiamenti climatici firmato da Andrea Barolini
«Non è un bello spettacolo». Rob de Jong, direttore dell’unità Mobilità sostenibile del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) aveva commentato così, nello scorso ottobre, i dati sulle esportazioni di auto dai Paesi ricchi a quelli poveri. Immense quantità di veicoli vecchi, inquinanti, energivori e perfino pericolosi. Che da Europa, Stati Uniti e Giappone vengono caricate su porta-container. Direzione Africa. Altrimenti detto, che da territori nei quali via via si impongono regole più stringenti in termini di emissioni nocive, le auto vengono vendute in nazioni più permissive. E pazienza per ciò che questo comporta (laggiù) per la salute e (anche quassù) per il riscaldamento globale.
Uno studio dello stesso UNEP ha spiegato che 14 milioni di auto usate sono state esportate soltanto tra il 2015 e il 2018. Un mercato che potrebbe raddoppiare di qui al 2050. Effetto collaterale del (senz’altro positivo) incremento della quota di mercato delle auto elettriche nei Paesi ricchi. Rappresentavano il 3% delle vendite nel 2019 in Europa. Un anno dopo hanno superato il 10%. A dicembre scorso, il 20-25% di auto vendute in Germania, Francia e Regno Unito era elettrico. In Svezia si era arrivati al 50%. Nei Paesi Bassi al 75%. In Norvegia all’85%.
Dati che fanno ben sperare, a casa nostra. Ma nel mondo diseguale nel quale viviamo, il petrolio non cesserà così rapidamente di essere consumato in modo massiccio. Cambieranno semplicemente i mercati. In particolare l’Africa subsahariana sta diventando il ricettacolo dei nostri scarti. Così, benzina e diesel, da carburanti per i quali le grandi potenze erano pronte a scatenare guerre, si apprestano oggi a diventare le energie dei poveri.