Se anche l’IEA chiede di dire addio a gas e petrolio
Energia, trasporti, CO2. E gli intrecci con la finanza. Ogni settimana il punto sui cambiamenti climatici firmato da Andrea Barolini
L’International Energy Agency è stata spesso accusata di essere troppo prudente sul fronte della crisi climatica. Mentre la scienza è infatti unanime nel sostenere la necessità di scongiurare un aumento incontrollato della temperatura media globale, l’organizzazione fondata nel 1974 dall’Ocse dopo la crisi petrolifera, è apparsa in alcuni casi troppo conservatrice nella transizione verso le energie rinnovabili.
Stavolta, però, l’IEA ha deciso di lanciare un messaggio chiaro e inequivocabile. In un nuovo rapporto pubblicato il 18 maggio, l’agenzia ha spiegato che il mondo deve abbandonare tutti i progetti legati a nuove esplorazioni di petrolio e anche di gas. «Al di là dei progetti già avviati nel 2021, il rapido calo della domanda di petrolio e gas indica che non è necessario alcun nuovo sito di sfruttamento», si legge nel documento.
Mentre in Europa si discute ancora, nell’ambito della tassonomia delle attività economiche sostenibili, se lasciare o meno ancora spazio al gas naturale, dunque, l’IEA prende posizione in modo nettissimo: il futuro sarà elettrico. Il che significa che occorrerà smettere di vendere auto a motore termico entro il 2035. Ma anche che dovremo installare, entro il 2030, il quadruplo di capacità solare e eolica rispetto ai valori attuali. Il tutto con l’obiettivo di far crollare dall’odierno 80% al 20% la quota di energie fossili nel mix energetico mondiale.
Si tratta, secondo l’IEA, delle condizioni minime necessarie per raggiungere l’obiettivo più ambizioso dell’Accordo di Parigi. Ovvero limitare la crescita della temperatura media globale, sulla superficie delle terre emerse e degli oceani, ad un massimo di 1,5 gradi centigradi, rispetto ai livelli pre-industriali. Per riuscirci, l’agenzia indica anche la necessità di incrementare fortemente gli investimenti annuali, di qui al 2030, nel settore elettrico (contro gli attuali 2mila). In cambio, il Pil mondiale riceverebbe una “spinta” pari allo 0,4%, e verrebbero create decine di milioni di nuovi posti di lavoro.