Come si vive a 50 gradi all’ombra? Chiedete ai canadesi
Energia, trasporti, CO2. E gli intrecci con la finanza. Ogni settimana il punto sui cambiamenti climatici firmato da Andrea Barolini
Gli idranti lasciati aperti nelle strade e i cooling centres allestiti in Canada per cercare di fornire un minimo di refrigerio alla popolazione, in particolare quella più vulnerabile, non sono bastati ad evitare la “morte improvvisa” di quasi 500 persone. Decessi che le autorità della nazione nordamericana attribuiscono all’incredibile ondata di caldo che sta colpendo la Columbia Britannica.
La temperatura ha sfiorato i 48 gradi a Vancouver, e nella città interna di Lytton si è toccato il record assoluto: mai la colonnina di mercurio aveva raggiunto i 49,5 gradi sul territorio canadese (agli appassionati di cucina non sfuggirà che per le pietanze che si possono cucinare “a bassa temperatura” la cottura avviene tra i 50 e 60 gradi centigradi. Ci siamo quasi).
Ora, il caldo pazzesco che sta sperimentando il Canada – assieme agli Stati Uniti – non può essere attribuito specificatamente ai cambiamenti climatici in atto. Si tratta di quello che viene definito un heat dome: una cupola di calore che si autoalimenta, schiaccia l’aria verso il basso e aumentando la pressione fa crescere le temperature, intrappolando il caldo al suolo.
Si sa che il riscaldamento globale aumenta la frequenza, la durata e la violenza dei fenomeni meteorologici estremi. Si sa che tale riscaldamento globale è provocato dalle emissioni di gas climalteranti di origine antropica. Si sa anche che ne abbiamo già disperse nell’atmosfera quantità enormi. Ma soprattutto sappiamo, secondo quanto indicato al Washington Post dagli esperti, che una “cupola di calore” di tale intensità «è talmente rara statisticamente che possiamo aspettarcene una ogni qualche migliaio di anni in media», in condizioni normali.
Il clima che cambia, dunque, di certo contribuisce a peggiorare le cose. E probabilmente è responsabile almeno di una parte di quei 500 morti. Ciò nonostante, le undici più grandi banche dell’area euro – BNP Paribas, Crédit Agricole, Société Générale, Banque Populaire Caisse d’Epargne (BPCE), Deutsche Bank, Commerzbank, Unicredit, Intesa Sanpaolo, Santander, BBVA e ING – presentano ancora un’esposizione nel settore delle fonti fossili di oltre 530 miliardi di euro. E se errare è umano…