Coppa d’Africa addio, una storia di neocolonialismo

Ogni settimana il commento di Luca Pisapia sugli intrecci tra finanza e calcio

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Terra devastata, inquinata, depredata, l’Africa ha senso solo quando può fornire uomini come schiavi e materie prime come motore dello sviluppo altrui, altrimenti è un problema. È così anche nel calcio. Oggi si decide se si disputerà o meno la trentatreesima edizione della Coppa d’Africa, in programma dal 9 gennaio al 6 febbraio in Camerun. È la loro festa, ma nessuno in Europa la vuole permettere. Altro che aiutarli a casa loro, nemmeno questo: i migliori giocatori africani giocano nei campionati europei e i club non hanno nessuna intenzione di vederli partire per un mese.

Così, con la scusa del Covid, dell’affollamento dei calendari, della sovrapposizione con altre competizioni, è partita una campagna per togliere all’Africa la sua legittima competizione, già rimandata dallo scorso giugno. Il resto gli è già stato tolto. Senegal, Marocco, Costa d’Avorio, Nigeria, Camerun, Algeria, Ghana e così via, la quasi totalità dei calciatori più forti del continente è già stata depredata dall’Europa. Fino a pochi anni fa, prima che la Fifa limitasse i trasferimenti dei minorenni, erano decine di migliaia ogni anno i ragazzini africani che venivano comprati e poi letteralmente abbandonati in strada, storie di fame, miseria e morte.

Oggi si parla di valore di produzione. Del valore dei cartellini dei calciatori africani più forti Salah (Liverpool, 105 milioni), Mané (Liverpool, 80), Hakimi (Psg, 76) Osimhen (Napoli, 52). Ma è sempre la vecchia tratta degli schiavi, è neo colonialismo allo stato puro. David Harvey la chiamerebbe accumulazione (di calciatori) per espoliazione. In Francia giocano 107 africani, in Belgio e Turchia 82, in Inghilterra 44 e in Italia 42, per dire. Il Liverpool con Salah, Keita, Matip ha 230 milioni di euro di patrimonio in calciatori africani, il 24% dell’intera rosa; il Napoli con Osimhen, Koulibaly, Anguissa 117 milioni, il 25%, seguono il Manchester City, il Psg, l’Arsenal. O ribaltando la questione scopriamo che nel Metz (Fra) i 13 giocatori africani valgono addirittura il 73% dell’intera rosa, nell’Hatayspor (Turchia) il 57%, fino ad arrivare al Watford (Ing) con il 41%.

Numeri che raccontano un saccheggio, un nuovo triangolo commerciale degli schiavi che parte dalle scuole calcio parcheggiate in continente, arriva ai settori giovanili piantati in Europa, dove chi ce la fa produce valore e chi non riesce rimane per strada. E nulla torna mai indietro, né il valore né i giocatori. Nemmeno la possibilità di partecipare a un torneo. La Coppa d’Africa non s’ha da fare, direbbe qualcuno in Italia, che con la tragica frase «aiutiamoli a casa loro» certifica il saccheggio come diritto del più forte. E non vuole permettere più nemmeno il pallone.