Accordo sulla due diligence. Le imprese (poche) vigileranno su ambiente e diritti
I governi europei hanno trovato un'intesa sulla direttiva due diligence. Il testo è però meno ambizioso rispetto a quello proposto a dicembre
Dopo mesi di faticosi negoziati, i Paesi membri dell’Unione Europea sono riusciti a trovare un accordo sulla direttiva “due diligence”. Ovvero sul dovere di diligenza (vigilanza) in capo alle aziende, in materie ambientali e di diritti dei lavoratori. Un modo per imporre alle imprese di controllare che le loro attività non nuocciano a clima, ecosistemi e biodiversità, non comportino lavoro minorile, forzato, privo delle dovute tutele sindacali o di sicurezza.
Una difficile negoziato sulla due diligence
Raggiungere un’intesa, come detto, è stato particolarmente difficile. Nello scorso mese di dicembre si era pensato che mancasse poco all’approvazione, dopo un accordo di compromesso tra il Parlamento europeo e i governi. Tuttavia, la Germania aveva operato un’improvvisa e inattesa retromarcia, annunciando la propria astensione. A seguirla, era stata poco dopo l’Italia. Mentre dieci nazioni avevano annunciato la loro contrarietà.
Impossibile, perciò, raggiungere la maggioranza qualificata necessaria: almeno quindici Stati, che rappresentino almeno il 65% della popolazione europea. La situazione era apparsa poi ancor più complessa dopo dopo che la Francia aveva chiesto di ridurre enormemente il numero di imprese alle quali si applicheranno le nuove normative. Il che avrebbe escluso altre 14mila aziende alle pochissime (circa lo 0,1% di quelle presenti in Europa) a cui il testo iniziale si riferiva.
Il testo approvato grazie al sì dell’Italia (che ha ottenuto concessioni)
Di fronte a tale situazione, il Belgio – presidente di turno del Consiglio dell’Unione Europea – ha avviato un certosino lavoro diplomatico. Che ha portato dapprima al tentativo di approvare un nuovo testo, a febbraio, meno ambizioso del primo. Ma che comunque è stato rigettato dai Paesi membri. Quindi si è arrivati a venerdì scorso. e, di certo, il consenso non non è stato unanime.
La Germania ha continuato sulla propria linea, astenendosi. Stessa scelta per Austria, Bulgaria, Estonia, Ungheria, Lituania, Malta, Repubblica Ceca, Slovacchia e Svezia. A pesare è stato il “sì” dell’Italia, giunto dopo che il governo ha ottenuto alcune concessioni (in particolare sugli imballaggi).
Coinvolte le imprese (non finanziarie) con più mille dipendenti e 450 milioni di euro di fatturato
Per quanto riguarda l’ambito di applicazione della nuova direttiva, essa coinvolge tutte le imprese con più di mille dipendenti. e che abbiano un fatturato di almeno 450 milioni di euro. Un passo indietro rispetto al testo di dicembre, che prevedeva soglie di 500 dipendenti e 150 milioni di euro. Ma un passo avanti rispetto a quanto ipotizzato dalla Francia di Emmanuel Macron, che puntava a limitare la regolamentazione alle sole aziende con più di cinquemila dipendenti. Complessivamente “sono stati uccisi i due terzi della norma”, ha commentato Uku Lilleväli, del Fondo mondiale per la natura.
Nessuna novità, invece, per quanto riguarda il settore finanziario. Esso, come già indicato nei precedenti testi, è escluso dalla direttiva. E anche in questo caso si tratta di una richiesta giunta da Parigi. Ma c’è chi, tra i parlamentari europei, ha denunciato le intense attività di lobbying di grandi fondi di investimento e banche.