Bella la decarbonizzazione, ma non la farei. Il caso di Adnoc

La società petrolifera Adnoc ha piani incompatibili con l’obiettivo degli 1,5 gradi. Ed è guidata dal presidente della Cop28 Sultan al-Jaber

Daniele Guidi
Il Ceo di Adnoc Sultan Al Jaber, al centro, insieme alla direttrice esecutiva dell'Unep Inger Andersen e all'inviato speciale per il clima degli Stati Uniti John F. Kerry © Christopher Pike/Cop28
Daniele Guidi
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Nel corso di un’intervista realizzata ad ottobre da Justin Worland per la rivista statunitense Time, Sultan Ahmed al-Jaber, presidente della Cop28, nonché inviato speciale per il clima degli Emirati Arabi Uniti, nonché amministratore delegato della compagnia petrolifera di stato (la Abu Dhabi national oil company, Adnoc), nonché co-fondatore e presidente di Masdar, la società impegnata nello sviluppo delle energie rinnovabili nel mondo, ha dichiarato: «Una riduzione nell’utilizzo dei combustibili fossili è inevitabile e necessaria. Dobbiamo accettarlo».

Questa però – come emerso anche dal recente scandalo durante la prima settimana della conferenza delle Nazioni Unite sul clima in corso a Dubai – è un’affermazione che può lasciar spazio a molteplici interpretazioni. Quella che ha in testa al-Jaber prevede l’inclusione delle compagnie petrolifere nel processo di decarbonizzazione dell’economia. Ma con tempi che non sono in alcun modo compatibili con le richieste della scienza. «Non possiamo disconnettere il mondo dall’attuale sistema energetico prima di averne costruito uno nuovo», ha dichiarato il presidente sempre al Time. Un’interpretazione, la sua, supportata egregiamente dal piano della compagnia petrolifera emiratina, Adnoc.

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Il sultano al-Jaber, presidente della Cop28 e amministratore di Adnoc, la compagnia petrolifera di Stato degli Emirati Arabi Uniti © Mahmoud Khaled/COP28

Il piano di Adnoc: espandere la produzione di petrolio da qui al 2030

Adnoc, infatti, ha come obiettivo quello di aumentare del 25% la produzione di petrolio da qui al 2030. Il che corrisponde – complessivamente – a circa 9 miliardi di barili di petrolio equivalenti in più rispetto al ritmo di produzione attuale. Una cifra che farebbe di Adnoc la quinta compagnia del settore oil&gas più grande al mondo. A riportare queste cifre è un rapporto dal titolo “Fossil fuel expansion in the United Arab Emirates” realizzato da una coalizione di organizzazioni non governative di cui fanno parte Urgewald, BankTrack, LINGO e Reclaim Finance.

A finanziare lo sforzo economico necessario per raggiungere tale obiettivo deleterio per il clima della Terra è, come sempre, il mondo della finanza. Il rapporto sottolinea come manchi trasparenza nelle finanze del colosso del petrolio, ma scorrendo i dati pubblicati in Banking on climate chaos, nello scorso mese di aprile, da un gruppo di organizzazioni non governative, emerge che tra i principali finanziatori ci sono HSBC, MUFG, SMBC e JPMorgan Chase. A cui si aggiungono, nel 2023, prestiti da Bank of China, ICBC e Standard Chartered.

Del resto, gli Emirati Arabi Uniti sono già oggi tra i maggiori produttori di petrolio a livello globale. E la loro rilevanza sul piano internazionale sta aumentando da quando hanno deciso di posizionarsi anche come esportatori di gas, occupando lo spazio lasciato dalla Russia a causa delle sanzioni ricevute per l’invasione dell’Ucraina. Tutto ciò fa sì che il settore fossile rappresenti circa il 30% del prodotto interno lordo (Pil) degli Emirati. Il 13 per cento delle esportazioni è ad appannaggio di gas e petrolio.

Una visione, quella emiratina, che si porta dietro investimenti miliardari. Secondo quanto riportato dal Time, Adnoc ha in previsione di investire 150 miliardi di dollari su progetti legati, tra le altre cose, all’estrazione di greggio per portare la produzione giornaliera dagli attuali 3 milioni di barili a 5 milioni, sempre entro il 2030. Solo 15 di questi 150 miliardi di dollari sarebbero destinati a innovazioni e tecnologie, come gli impianti di cattura e stoccaggio, in grado di ridurre le emissioni di gas serra che causano il riscaldamento globale, ma solo nella fase di estrazione. Non vengono prese in alcun modo in considerazione, invece, le emissioni causate dalla combustione del petrolio per creare energia.

La compagnia petrolifera di Sultan al-Jaber è lontanissima dalla decarbonizzazione

Tutto ciò è assolutamente fuori da ogni indirizzo suggerito dall’Agenzia internazionale per l’energia (il riferimento è al “Net zero emissions by 2050 scenario” pubblicato dalla IEA, International Energy Agency, nel 2021) per restare nel solco degli 1,5 gradi centigradi di aumento della temperatura media globale.

Anzi, il 92% dei piani di espansione della produzione di combustibili fossili da parte di Adnoc sarebbe incompatibile con lo scenario a emissioni nette zero dell’Agenzia guidata da Fatih Birol. Una percentuale che fa della compagnia degli Emirati una delle peggio piazzato al mondo, nonostante i tentativi di mascherare tutto ciò attraverso piani di stoccaggio o di diversificazione del proprio business. Si vedano ad esempio la acquisizioni di quote di società europee che si occupano della produzione di plastiche e prodotti chimici citate dal rapporto di Reclaim Finance e delle altre ong.

La domanda, dunque, è semplice. E sacrosanta. È opportuno che una persona come Sultan al-Jaber sia quella giusta per guidare la conferenza più importante della storia dell’umanità, quella che dovrebbe certificare la necessità di lasciare sotto terra tutti i combustibili fossili, non solo il carbone? E la risposta, stando a quanto visto in questi giorni di negoziati, è altrettanto semplice: no.