Alcol e cancro: come le lobby hanno fermato le etichette in Irlanda (e in Europa)

Le pressioni di Big Alcol bloccano le etichette sul cancro in Irlanda e in Europa. Così politica e lobby hanno indebolito la salute pubblica

Le maggiori pressioni sono arrivate dalla lobby del vino, che ha convinto gli eurodeputati dei Paesi produttori ©CHUTTERSNAP/Unsplash

Da Dublino a Bruxelles fino a Washington. L’offensiva della lobby dei produttori di alcol per bloccare le etichettature sanitarie ha viaggiato da un capo all’altro dell’oceano. Sotto attacco la norma che, in Irlanda, avrebbe introdotto l’etichetta che mette in guardia il pubblico: bere alcol aumenta il rischio di cancro. Un’inchiesta di Follow the Money e The Investigative Desk ha svelato l’utilizzo delle stesse tattiche di lobbying di sempre, a partire dallo stesso manuale strategico, e persino dagli stessi consulenti, utilizzati da Big Tobacco.

L’Irlanda nel mirino di Big Alcol per le etichette sanitarie

L’Irlanda stava per diventare il primo Paese dell’Unione europea a introdurre etichette sanitarie su tutte le bevande alcoliche, come quelle che troviamo sui pacchetti di sigarette. A partire da maggio 2026, infatti, bottiglie o confezioni di birra, vino e distillati, avrebbero dovuto riportare chiaramente l’avvertimento sul cancro e il messaggio che «bere alcol provoca malattie del fegato». Questo ambizioso piano, che faceva parte di una legge approvata nel 2018, ha immediatamente messo l’Irlanda nel mirino dell’industria del settore. come per esempio i principali produttori europei di alcolici, che rappresentano marchi come Bacardi e Carlsberg.

Il problema non era – o almeno non solo – la legge in Irlanda. A far tremare Big Alcol è stata la prospettiva che, proprio come per altri settori, potesse realizzarsi un pericoloso precedente. Timore che emerge dai verbali degli incontri di lobbying a Bruxelles. L’operazione di pressione che ne è scaturita è stata ampia e transfrontaliera. Per anni si è agito su più fronti, fino a coinvolgere il governo degli Stati Uniti.

Pressioni da Washington a Bruxelles per bloccare le etichette sull’alcol

Drinks Ireland, l’associazione commerciale che include aziende come Guinness e marchi internazionali come Heineken, è riuscita a ottenere un incontro con il primo ministro irlandese Micheál Martin. Nel corso della riunione l’associazione ha fatto appello al governo affinché ritardasse l’attuazione della norma. La motivazione? Il settore è già in difficoltà a causa dei dazi sul commercio imposti dagli Stati Uniti. 

Il tema è diventato una leva cruciale. Un recente rapporto dell’U.S. Trade Representative (Ustr) ha confermato che l’industria degli alcolici aveva avvertito il governo americano che le etichette irlandesi sarebbero state “costose” e avrebbero potuto ostacolare le esportazioni statunitensi all’interno del mercato unico europeo. La Casa Bianca è entrata a gamba tesa nella questione. A marzo 2024, nel corso di una riunione dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, ha contestato le etichette sanitarie irlandesi. Sono inoltre stati documentati incontri, a inizio 2025, tra colossi come Anheuser-Busch InBev e Heineken e l’U.S. Trade Representative.

A Bruxelles, i principali gruppi di settore hanno esercitato pressioni dirette sulla Commissione europea, avvertendo che l’introduzione delle etichette sanitarie irlandesi avrebbe «ulteriormente frammentato il mercato unico». Luc Hagenaars, un esperto di politica sanitaria, ha commentato come la natura sovranazionale di questa storia mostra che l’industria «teme profondamente» che le persone vengano a conoscenza del legame tra alcol e cancro.

Le tattiche di sempre: la lobby dell’alcol contro la scienza

La strategia della Big Alcohol non si è limitata alla pressione commerciale. Come già accadde con il tabacco, e come continua ad accadere con le fonti fossili, il bersaglio principale non è il mercato ma la scienza stessa. Secondo quanto si legge in un documento inviato da Drinks Ireland alla Commissione europea, sostenere che l’alcol è cancerogeno significa fare «allarmismo» e «disinformazione».

E per restare nel medesimo copione delle passate attività di lobbying, anche il settore delle bevande alcoliche si è servito di consulenti la cui attendibilità lascia a desiderare. Nello specifico, l’associazione ha ingaggiato Gradient, una società di consulenza statunitense nota per aver difeso prodotti tossici. Gradient ha incaricato la tossicologa Julie Goodman di scrivere un’analisi scientifica. Goodman, dal canto suo, vanta un curriculum emblematico: in passato ha lavorato anche per l’industria dell’amianto, firmando studi che sostenevano l’esistenza di una «dose sicura» di esposizione. È inoltre tra gli autori di un’analisi commissionata da Philip Morris che concludeva che le sigarette «light» fossero più sicure.

Prevedibilmente, secondo la tossicologa, «non esiste alcuna associazione coerente» tra consumo leggero o moderato di alcol e la maggior parte dei tipi di cancro. Bontà sua, Goodman elenca alcune eccezioni: nel caso del cancro al seno e del cancro colonrettale esistono dei rischi, ma «molto piccoli» e caratterizzati da «sostanziale incertezza». A sostegno della sua analisi, come da copione, una pubblicazione scientifica. In parte finanziata proprio dall’industria dell’alcol.

Nel frattempo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ribadisce l’indiscutibilità del dato: l’alcol, anche se assunto con moderazione, può causare il cancro.

Le pressioni su Bruxelles per fermare le etichette sull’alcol

L’influenza di Big Alcol a Bruxelles è ben documentata. Quando la Commissione ha presentato il suo Piano europeo per la lotta contro il cancro (febbraio 2021), le proposte iniziali basate sui consigli degli esperti di salute pubblica includevano etichette di avvertimento e il divieto di sponsorizzazione sportiva per i marchi di alcolici. La plenaria del Parlamento europeo, però, le ha fortemente indebolite.

Le pressioni più forti sono arrivate dall’industria del vino, che ha fatto leva sugli eurodeputati dei Paesi produttori, agitando ancora una volta lo spettro dei gravi rischi economici. Parlamentari come gli italiani Paolo De Castro e Herbert Dorfmann si sono distinti per l’attivismo nel proporre emendamenti che hanno sostituito gli avvertimenti sanitari con un generico invito al «consumo responsabile». Hanno inoltre modificato la formulazione dell’Oms secondo cui «non esiste un livello sicuro di consumo di alcol», attenuandola per far intendere che un certo livello di consumo possa invece considerarsi sicuro.

Etichette rinviate: la vittoria delle lobby dell’alcol

Il voto del Parlamento europeo, nel febbraio 2022, è stato una vittoria per l’industria. Il testo finale non parla più del consumo di alcol in generale come fattore di rischio per il cancro, ma solo del cosiddetto «consumo dannoso», introducendo così una distinzione che attenua il messaggio sanitario. Etichette di avvertimento e divieto di sponsorizzazione sono spariti dal testo. L’industria, nel frattempo, continua a evitare le etichette di avvertimento sanitario e a preferire QR code che rinviano a ulteriori informazioni.

Le pressioni hanno ottenuto l’effetto desiderato: l’entrata in vigore del piano irlandese è stata rinviata a settembre 2028. Un cambio di rotta attribuito in larga parte ai dazi statunitensi. Dublino ha inoltre annunciato l’intenzione di armonizzare le norme sull’etichettatura delle bevande alcoliche con quelle del resto d’Europa. In altre parole, l’input dovrà arrivare da Bruxelles.

Prospettiva non proprio vicina visto che, dopo il voto del Parlamento, la Commissione europea ha espresso incertezza su «se e quando» una proposta per avvertimenti sanitari a livello europeo sarebbe stata adottata.

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