Armi e guerre, il muro di gomma di Rheinmetall
Rheinmetall non risponde agli azionisti critici su forniture di armi e guerre, appellandosi alla necessità di tutelare i clienti
L’assemblea degli azionisti di Rheinmetall è già una noia mortale in presenza. Figuratevi la versione in streaming, che gli azionisti critici si sono dovuti sciroppare negli ultimi due anni.
Nel maggio del 2020, mosso da compassione, il principale canale televisivo pubblico tedesco ARD ha seguito passo passo l’attivista della Ong Urgewald Barbara Happe durante il supplizio. «Cosa dicono gli yemeniti che sono stati feriti dalle bombe di Rheinmetall? Ci piacerebbe che il comitato esecutivo dell’impresa affrontasse questo tema oggi in assemblea, come abbiamo chiesto di fare», dichiara Happe di fronte alle telecamere. Le immagini mostrano lo schermo del suo computer da cui segue la diretta assembleare in remoto.
Purtroppo dall’amministratore delegato dell’impresa, il marmoreo Armin Papperger, arrivano solo le risposte di rito. L’esportazione di armi avviene previa autorizzazione degli Stati. Non si possono dare informazioni dettagliate su cosa si esporta e dove perché le clausole dei contratti lo vietano. Eccetera, eccetera, eccetera.
Gli azionisti critici contro Rheinmetall
Urgewald fa parte del Dachverband der Kritischen Aktionärinnen und Aktionäre, associazione tedesca degli azionisti critici. Ogni anno, dal 2015, si presenta all’assemblea del gigante tedesco degli armamenti, che opera anche nel settore automobilistico. Dal 2017 l’accompagnano anche Fondazione Finanza Etica e Bank für Kirche und Caritas, soci fondatori della rete di azionisti attivi SfC – Shareholders for Change.
Nel 2021 Shareholders for Change ha inviato un totale di nove domande all’impresa, anche per conto di Rete Italiana Pace e Disarmo e del Comitato Riconversione RWM (la controllata italiana di Rheinmetall). In forma scritta, perché durante lo streaming non è possibile interagire. Si può solo ascoltare e appuntarsi le risposte: il verbale non viene pubblicato. Ed è vietato registrare con qualsiasi strumento. Un problema di trasparenza che si pone per tutte le imprese quotate tedesche.
Tutto si spiega
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«Quali conseguenze economiche avrete dal blocco definitivo delle armi verso l’Arabia Saudita deciso dal ministero degli Esteri italiano?». «Come valutate il rischio che l’ampliamento dello stabilimento di Domusnovas, in Sardegna, sia bloccato dai contenziosi in corso?». «Quali collaborazioni si prospettano con Fincantieri e Leonardo?». «Tramite la controllata italiana RWM Italia, negli anni scorsi, è stata definita una commessa verso il Qatar del valore di centinaia di milioni di euro. Di cosa si tratta?».
Da Rheinmetall risposte evasive
Le domande degli attivisti italiani sono lette in diretta da Papperger, in successione, con il solito tono monocorde. Con lo stesso tono legge anche le risposte, preparate dal suo staff. «Su RWM e l’export bloccato verso l’Arabia Saudita non possiamo dare alcuna informazione. Non rendiamo noti dati sui singoli clienti. Continueremo a investire sullo stabilimento italiano, questo è assodato. Perché l’ampliamento si riferisce a ordini futuri, alla relazione con clienti NATO che già abbiamo, non avremo perdite e siamo fiduciosi che il contenzioso amministrativo in corso si risolverà a nostro favore».
Anche sulla decisione del giudice per le indagini preliminari di Roma di continuare l’inchiesta penale contro i dirigenti di RWM Italia, per il loro presunto ruolo in un attacco aereo mortale in Yemen, Papperger non si scompone. «Il procedimento era stato archiviato nel settembre del 2019. Ci sorprende che ora si decida di continuare – spiega –. Ma finora non abbiamo ricevuto alcuna richiesta formale e supponiamo che entro la fine dell’anno il procedimento sia di nuovo archiviato». Sui rapporti con Fincantieri, Leonardo e sul Qatar, Rheinmetall si avvale della facoltà di non rispondere. «Sono dati sensibili», chiosa l’amministratore delegato.
La pressione degli azionisti critici sul fondo sovrano norvegese
Ottenere risposte all’assemblea di Rheinmetall è come cercare di cavare sangue dalle rape. Per questo gli azionisti attivi si stanno muovendo anche su un altro fronte, ormai da oltre un anno. Nel maggio del 2020 hanno scritto al fondo sovrano norvegese, che detiene il 2,57% di Rheinmetall, affinché venda le azioni dell’impresa. I risultati di questa azione non si sono fatti attendere.
L’8 giugno, il Parlamento norvegese ha approvato un nuovo criterio di esclusione proposto dal Comitato Etico del fondo per gli investimenti in armi. In base a questa proposta, il più grande fondo sovrano del mondo (930 miliardi di patrimonio) in futuro non dovrebbe più fare investimenti in compagnie che vendono armi a Stati in guerra. Un primo passo verso una probabile, futura esclusione dai portafogli di investimento di Rheinmetall.
«Le imprese come Rheinmetall dovrebbero vedere la decisione del fondo norvegese come un campanello d’allarme – spiega Tommy Piemonte, responsabile della ricerca sulla sostenibilità della banca cattolica tedesca Bank für Kirche und Caritas –. Finora la direzione di Rheinmetall ha ignorato i nostri avvertimenti in assemblea sul fatto che le esportazioni verso Paesi in guerra possano creare rischi finanziari, a causa di possibili violazioni dei diritti umani. Oltre ai rischi reputazionali e a possibili contenziosi e risarcimenti». Se il nuovo criterio sarà adottato dal fondo, gli avvertimenti degli azionisti attivi non potranno più essere ignorati.