La prima internazionale del climattivismo è nata a Milano

Dal primo World Congress for Climate Justice è emersa la necessità di unire i movimenti che si battono per la giustizia climatica

Andrea Di Turi
Il World Congress for Climate Justice (Wccj) si è tenuto a Milano dal 12 al 15 ottobre © Emanuele Braga
Andrea Di Turi
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Non più la logica dei controvertici, bensì una auto-convocazione su scala globale dei movimenti per la giustizia climatica. Per prendere consapevolezza della propria forza ma soprattutto della necessità di trovare dei punti di convergenza, al di là delle inevitabili differenze. Il World Congress for Climate Justice (Wccj) che si è tenuto a Milano dal 12 al 15 ottobre, tra università Statale e Leoncavallo, è stato la prima chiamata a raccolta del genere mai organizzata.

Oltre una sessantina i movimenti per la giustizia climatica e l’ecologismo radicale presenti. Senza dimenticare che, parlando di radicalità, a crisi climatica conclamata «i radicali veramente pericolosi – recita la celebre affermazione del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, citatissimo a Wccj insieme a Papa Francesco e Greta Thunberg – sono i Paesi che stanno aumentando la produzione di combustibili fossili».

Chi c’era al World Congress for Climate Justice (Wccj)

Il congresso si è svolto in due fasi. Una con seminari aperti a tutti. E una deliberativa, con i circa 250 delegati a confrontarsi per definire percorsi, strategie, tattiche, anche parole comuni. Per l’Italia c’erano, fra gli altri, Fridays for future Italia, XR Italia, Scientist Rebellion Italia, Ultima generazione. Sono arrivati dall’Europa (Climáximo, Ende Gaelende, Soulèvements de la Terre), da Sud America (Colectivo Yasunidos) e Nord America (Defend Atlanta Forest), dall’Africa (Rise-up Uganda).

C’erano anche alcune delle campagne a più alto tasso di viralità degli ultimissimi anni, come Debt for Climate e ENDfossil. O come Stop EACOP, che contrasta la costruzione del famigerato East African Crude Oil Pipeline che, se portato a termine, sarebbe l’oleodotto riscaldato più lungo del mondo, oltre 1.400 chilometri attraverso Uganda e Tanzania. Un progetto contestatissimo, che ha ricevuto anche le blasonate critiche del professor Jefrey Sachs, il “padre” degli Obiettivi per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. A Wccj ne ha parlato Aidah Nakku di Rise Up Uganda: «A banche e assicurazioni europee – ha detto – chiediamo di ritirare il sostegno a Eacop. Se fai campagna in Uganda contro un progetto come questo ti accusano di “sabotaggio finanziario” del tuo Paese e rischi la vita. Agli attivisti europei, che hanno il privilegio di poterlo fare apertamente, chiediamo di fare pressione sui propri governi e banche».

World Congress for Climate Justice
Un incontro del World Congress for Climate Justice © Emanuele Braga

L’ecologismo è anche una questione politica

Al World Congress for Climate Justice (Wccj) in molti hanno posto l’attenzione sull’intreccio profondo tra quella climatica e altre gravi emergenze, come quella dei migranti, che sono attesi in proporzioni sempre più bibliche man mano che la crisi climatica si acuirà. Khalid Abaker, della comunità sudanese di Milano, a Wccj per Mediterranea Saving Humans (è autore del libro ” C.A.R.A. Milano – Il suicidio voluto”), è fuggito sette anni fa dal suo Paese e ha vissuto sulla propria pelle l’intreccio cui si accennava:  «Il climate change – ha sottolineato –, con inondazioni e piogge che si intensificano, è uno dei principali fattori che stanno facendo aumentare il numero di persone costrette a migrare in tutto il mondo. Un evento come Wccj è importantissimo perché per affrontare questi problemi è indispensabile unirsi».

Si attende l’uscita del report finale del World Congress for Climate Justice, validato da tutti i delegati. Ma una cosa è certa. «È nata la prima internazionale dell’attivismo climatico – ha affermato Caterina Orsenigo, del Comitato organizzativo di Wccj – con la comune consapevolezza che non esiste ecologismo che non sia politico, di classe, decoloniale e transfemminista. E che non può esserci una transizione vera in un sistema di produzione e di valori capitalista».

Una rivoluzione che si può affrontare soltanto uniti

Rivoluzione” è probabilmente il termine più adatto per rappresentare ciò che servirà per contrastare la crisi climatica. Roger Hallam, co-fondatore di XR (Extinction Rebellion) e Just Stop Oil, a Wccj da remoto ha tenuto appunto un “revolutionary speech” e “Designing the Revolution” è il nome che ha dato al ciclo dei suoi podcast, in cui parla delle strategie e pratiche poste in essere dalle organizzazioni che ha fondato, rapidamente divenute un punto di riferimento per il climattivismo mondiale.  «Si dice che il capitalismo è inevitabile – ha spiegato – e durerà per sempre: è vero il contrario».

Come ha ricordato Alex Foti, anch’egli del Comitato organizzativo di Wccj, anche Greta Thunberg è passata da marciare a “bloccare” (e per questo è stata recentemente arrestata a Londra), cioè a pratiche di disobbedienza e resistenza civile: forse è uno dei segnali più chiari della direzione verso cui il climattivismo mondiale si sta orientando. Unito.