Per le banche gli asset fossili saranno i nuovi mutui subprime?
Un rapporto dell'Istituto Rousseau, Reclaim Finance e Les Amis de la Terre evidenzia i rischi legati agli asset fossili delle banche
Gli asset legati alle fonti fossili potrebbero rivelarsi deleteri per i bilanci degli istituti finanziari, e produrre una crisi come quella scatenata dai mutui subprime negli Stati Uniti nel 2007-2008. A spiegarlo è un rapporto pubblicato giovedì 10 giugno e curato dall’Istituto Rousseau di Tolosa assieme alle organizzazioni non governative Reclaim Finance e Les Amis de la Terre.
«Si rischia una nuova crisi finanziaria provocata dalle fonti fossili»
Secondo il documento, infatti, il valore di tali asset è destinato a crollare, «poiché il rispetto dell’Accordo di Parigi sul clima comporterà un calo drastico e continuo dell’uso di energie fossili». Il che potrebbe produrre «ampie turbolenze, e perfino generare una nuova crisi finanziaria».
Le indicazioni del rapporto – intitolato “Fossil assets: the new subprimes?” – non rappresentano d’altra parte una novità. Già nel 2015 l’allora governatore della Banca d’Inghilterra, Mark Carney, in un celebre discorso aveva affermato che i cambiamenti climatici potrebbe rappresentare per il sistema finanziario «una tragedia all’orizzonte». Proprio perché la transizione ecologica, inevitabile, renderà probabilmente gli asset legati a carbone, petrolio e gas, non soltanto “ad alto impatto climatico”, ma anche incagli per i bilanci bancari. Se non vere e proprie sofferenze.
11 grandi banche esposte per 530 miliardi di euro
È per questa ragione che il rapporto dell’Istituto Rousseau punta il dito contro tutte la attività bancarie che contribuiscono al finanziamento dell’esplorazione, sfruttamento e distribuzione delle fonti fossili. L’analisi ha riguardato in particolare le undici più grandi banche dell’area euro. Ovvero BNP Paribas, Crédit Agricole, Société Générale, Banque Populaire Caisse d’Epargne (BPCE), Deutsche Bank, Commerzbank, Unicredit, Intesa Sanpaolo, Santander, BBVA e ING. E i dati sono inquietanti: complessivamente, l’esposizione è di oltre 530 miliardi di euro. Il che equivale, in media, al 95% del totale dei fondi propri degli istituti di credito, ovvero i capitali posseduti, utili per fronteggiare eventuali perdite e crisi.
Un dato che potrebbe comportare un ripensamento profondo dei requisiti patrimoniali bancari. Si va in particolare dal 68% della spagnola Santander al 131% della francese Credit Agricole. Le quote per le italiane Unicredit e Intesa Sanpaolo sono pari rispettivamente al 105% (45 miliardi di euro) e all’83% (34 miliardi). Entrambi gli istituti non hanno voluto rilasciare commenti ufficiali, secondo quanto indicato da Reclaim Finance.
Gaël Giraud: «Le banche devono ripulire i loro bilanci»
Secondo il rapporto, si tratta di dati perfino sottostimati: «Ciò che è più grave, infatti, è che gli asset fossili rappresentano soltanto la punta di un gigantesco iceberg, formato da tutti i settori che necessiteranno forzatamente di una transizione. È il caso del comparto aeronautico, di quello dei trasporti e dei petrolchimici».
L’intervista
Gaël Giraud: «Siamo ricattati dalle grandi banche globali»
Economista, prete, gesuita, Giraud ritiene indispensabile una finanza alternativa: «Servono riforme radicali. Non quelle dei “populisti educati” come Macron e Renzi»
«Occorre – ha commentato al quotidiano Le Monde l’economista Gaël Giraud, presidente onorario dell’Istituto Rousseau – che le banche ripuliscano i loro bilanci. Anche se ciò comporterà un prezzo in termini di redditività delle loro operazioni e dunque di remunerazione concesse agli azionisti».