I disastri ambientali finanziati da banche e istituti di credito
Dalla miniera di carbone in Australia al gas in Mozambico: le banche finanziano progetti fossili legati a gravi disastri ambientali
In tutto il mondo l’industria fossile, che sia del carbone, del petrolio o del gas, continua a distruggere territori e mettere in pericolo intere comunità. Non potrebbe farlo, senza il supporto di banche e istituti di credito. Il report Banking on Climate Chaos 2025 fornisce un quadro articolato dell’incidenza dei 65 maggiori istituti di credito nei principali settori dei combustibili fossili. E di come questi provochino non solo danni climatici e disastri ambientali, ma anche una chiara violazione dei diritti umani nei confronti delle popolazioni indigene.
Il report offre quindi una serie di esempi, a partire dalla miniera di carbone australiana di Carmichael. Dimostrazione di come, con l’apporto delle banche, continua a crescere l’industria del carbone. Un’eredità nera che ci portiamo dagli albori della rivoluzione industriale e che fatichiamo a lasciare andare. Così come continuano a crescere settori che hanno enormi impatti sulle comunità e su ecosistemi molto preziosi. Sono le sabbie bituminose in Canada, le estrazioni di gas e petrolio in Amazzonia e nell’Artico, e quelle di gas naturale liquido in Mozambico
Australia: la miniera di Carmichael e i disastri ambientali finanziati dalle banche
Nel Queensland, in Australia, il gruppo indiano Adani ha una sua filiale nel bacino di Galilea: la Adani Bravus. Lì gestisce la miniera di carbone a cielo aperto Carmichael, un progetto sviluppato all’interno di terre ancestrali di popolazioni indigene. Né i Wangan né i Jagalingou, che abitano quei territori dai millenni, sono mai stati consultati per l’installazione del progetto, che non hanno mai approvato. Nonostante questo, nel 2019 il governo locale ha ceduto il totale diritto di proprietà di quelle terre ad Adani. Anche delle porzioni appartenenti ai Wangan e ai Jagalingou, che nel 2024 hanno avviato una causa legale contro il governo, accusato di aver violato i loro diritti umani.
La loro mobilitazione è riuscita a fermare una potenziale contaminazione nelle loro zone sacre. Il finanziamento al progetto è stato escluso da cinquantacinque istituti finanziari, di cui più di trenta banche commerciali. Il gruppo Adani ha quindi scelto di ridimensionare il progetto, passando da 60 a 10 milioni di tonnellate di carbone estratto l’anno. Ma nonostante questo, sono in programma due espansioni. Possibili perché le banche continuano a finanziarle, anche se in maniera indiretta.
Il report Banking on Climate Chaos 2025 ha infatti svelato come parte dei finanziamenti raccolti attraverso un’obbligazione green del gruppo Adani siano stati dirottati verso altre società controllate. Tra cui quelle che si occupano proprio di estrazione di carbone e produzione di energia a partire da questo. Altre inchieste hanno rivelato anche di inganni agli investitori, manipolazioni del mercato e frodi da parte del gruppo Adani. Nel novembre 2024 il presidente e fondatore Gautam Adani è stato incriminato negli Stati Uniti. È accusato di corruzione e frode. Ma continua a beneficiare del supporto di gruppi come ING, Standard Chartered, Barclays, Deutsche Bank, MUFG, SMBC, Mizuho, Société Générale, DBS e dell’italiana Intesa Sanpaolo. Tutti istituti che hanno sottoscritto i green bond di Adani.
Disastri ambientali in Canada: le banche dietro l’oleodotto Trans Mountain
In Canada non sono bastati dieci anni di resistenza da parte delle comunità indigene, degli ambientalisti, dei residenti e delle istituzioni locali. A maggio 2024 i lavori di ampliamento dell’oleodotto Trans Mountain Pipepline (Tmx) sono stati completati. L’opera va da Edmonton (Alberta) a Burnaby (British Columbia) ed è arrivata a 590mila barili di petrolio da sabbie bituminose al giorno, costellando il Mare di Salish di una distesa di petroliere.
Decisivo, in negativo, è stato l’intervento del governo canadese, che ad agosto 2018 ha salvato l’oleodotto con 4,5 miliardi di dollari canadesi dopo il forfait dal progetto di Kinder Morgan. Negli anni i costi di costruzione sono progressivamente cresciuti. La cifra finale, 34 miliardi di dollari canadesi, è sette volte quella preventivata all’inizio. Ma non è finita qui. Tmx ha chiesto alle autorità di regolamentazione di recuperare gli enormi costi del progetto dalle casse pubbliche. I cittadini canadesi pagheranno di tasca propria circa 20 miliardi di dollari canadesi per l’ampliamento di un’opera che è stata imposta a un territorio che ha provato in tutti i modi a resistere.
La nazione Tsleil-Waututh continua la sua battaglia, spostata in sedi giudiziarie. Ma l’oleodotto Tmx non viola soltanto i diritti umani di popolazioni locali e indigene. L’opera ha impatti devastanti sugli ecosistemi costieri e sul clima. E minaccia le orche di Southern Resident, una specie in via di estinzione. Questo non impedisce che sia in ogni caso sostenuta da gruppi bancari canadesi, molto attivi nel settore delle sabbie bituminose, spiega Banking on Climate Chaos 2025, come con Cibc, Rbc, Scotiabank e Td.
Banche e disastri ambientali in Amazzonia: Talara e l’oleodotto peruviano
La Raffineria di Talara è il più grande asset di Petroperù S.A., la compagnia petrolifera peruviana di stato. Ha in gestione l’Oleodotto del Nord del Perù, una colossale opera che trasporta greggio dall’Amazzonia alla costa e che, nell’ottobre 2024, ha creato un disastro ambientale. Il petrolio si è riversato nel fiume Pastaza. Documenti locali attestato che la fuoriuscita ha colpito almeno 20 villaggi, alcuni dei quali rimasti senza acqua e cibo. Le aree di pesca risultano contaminate.
Nonostante questo, anche grazie al supporto delle banche, Petroperù è un’industria fossile in costante espansione. Deve ripagare debiti e per questo massimizza le sue capacità di raffinazione, apre nuovi pozzi e si rifornisce in quelli esistenti. Sono i cosiddetti “blocchi”: le aree designate dallo stato per le concessioni di petrolio e gas. Si tratta di aree dove è viva e vitale l’opposizione delle popolazioni locali e indigene, e la richiesta di riparazione delle fuoriuscite costanti di petrolio.
Anche se molte banche hanno politiche interne che limitano gli investimenti petroliferi in Amazzonia, Petroperù continua ad assicurarsi finanziamenti, anche per sostenere la raffineria di Talara. Questo accade anche perché spesso gli impegni adottati non sono sufficienti a proteggere il bioma amazzonico.
Artico: il campo di Wisting e il ruolo delle banche nei disastri ambientali
A circa 300 km dalle coste a Nord della Norvegia, nel Mare di Barents, Equinor e Aker BP progettano di installare il campo petrolifero di trivellazioni offshore di Wisting. La valutazione dell’investimento sarà completata entro il 2026. I potenziali impatti ambientali sono altissimi, e non sono solo locali.
Il Mare di Barents è ricco di ecosistemi preziosi come l’isola degli Orsi e la Zona di Ghiaccio Marginale. È un’area abitata da uccelli, megattere e balene, che la utilizzano come zona di caccia e ci passano quando migrano verso sud. Un incidente nel campo, una fuoriuscita, potrebbe essere distruttivo. Lo sostengono le comunità locali e indigene e i gruppi ambientalisti di tutta la ragione artica, che in generale chiedono che la zona sia risparmiata dalle estrazioni di petrolio e gas. E che hanno ottenuto, con il loro impegno, che molte banche abbiano adottato politiche interne specifiche che bandiscono gli investimenti all’industria fossile nell’Artico.
Spesso però si tratta di impegni con ambiti di applicazione territoriali ristretti e molto specifici, che non impediscono alle banche di finanziare imprese che poi utilizzano quei soldi nelle trivellazioni. Senza contare quelle che invece gli impegni di disdicono, come la banca finlandese Nordea, che finanzia anche Aker BP ed Equinor.
Mozambico: gas offshore, disastri ambientali e banche che finanziano Eni
La provincia di Cabo Delgado, nel nord del Mozambico, è oggetto di ben quattro progetti di estrazione di gas. Mozambique Lng, guidato da TotalEnergies, di cui abbiamo già ampiamente scritto su Valori. Rovuma Lng, guidato da Eni ed ExxonMobil. E infine Coral South floating Lng (Flng) e Coral North Flng, anche loro a guida Eni. Di questi, Coral South Flng è l’unico progetto attualmente operativo.
Nel 2020 TotalEnergies ha ottenuto invece prestiti per il Mozambico Lng che, insieme al progetto Rovuma Lng, ha i diritti di utilizzo di 7mila ettari per infrastrutture onshore. Per fare spazio a queste ultime, centinaia di famiglie sono state traferite, hanno perso le loro case, i terreni agricoli, l’accesso al mare. I risarcimenti, secondo l’ONG mozambicana Justiça Ambiental!, spesso sono inadeguati. Così come gli alloggi e gli appezzamenti di terra sostitutivi forniti, quando ci sono.
I due progetti prevedono di estrarre a circa 50 km dalle coste gas metano, da convogliare poi in impianti di liquefazione a terra. I disordini politici hanno bloccato le decisioni su entrambi, ma l’impatto ambientale complessivo potrebbe essere davvero alto. Si prevedono elevati livelli di inquinamento chimico e acustico, oltre che di emissioni di gas serra. Gli impianti potrebbero portare specie aliene invasive anche in aree dall’alto valore ecologico come il bacino di Rovuma.
Tutto questo avviene in una regione dilaniata da violenza e guerra civile, in cui la popolazione locale sta pagando un prezzo elevatissimo, anche per l’installazione di questi impianti. Impianti che, ricordiamo, esistono grazie ai prestiti dei più importanti istituti di credito tutto il mondo: dalla Francia al Giappone, dal Regno Unito al Sudafrica. Banche che, come ricorda il report Banking on Climate Chaos 2025, nonostante una sanguinosa guerra civile e l’impatto potenzialmente devastante dei quattro progetti, hanno scelto di non ritirare i propri investimenti.
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