Unicredit, Intesa Sanpaolo & co: anche in Italia le banche amano le fossili

Tra le banche che non lesinano finanziamenti alle fonti fossili alcune sono ben note anche in Italia. I dati di Banking on Climate Chaos

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Sono statunitensi e giapponesi le banche che si spartiscono il poco invidiabile podio delle maggiori finanziatrici delle fonti fossili. Da quando il rapporto Banking on Climate Chaos ha iniziato a fare luce sugli istituti di credito nemici del clima (e del nostro futuro), JP Morgan Chase è quasi sempre stata in testa. E anche nel 2023 non smentisce la sua fama, con quasi 41 miliardi destinati ai combustibili fossili. A seguire, la nipponica Mizuho Financial con 37 miliardi e un’altra statunitense, Bank of America, a quota 33,6 miliardi. Di base, le banche europee tendono ad avere policy sul clima un po’ più avanzate. Ma quest’anno, a sorpresa, ce ne sono alcune che vanno controtendenza. E, contro ogni logica, si rivelano più generose nei confronti di petrolio, carbone e gas. Alcune di loro sono ben note anche in Italia.

Unicredit: bene l’addio al carbone, ma resta saldo il legame con Eni

Tra le sessanta banche internazionali monitorate da Banking on Climate Chaos, le uniche italiane sono Unicredit e Intesa Sanpaolo. In termini di finanziamenti ai combustibili fossili è sempre Unicredit a primeggiare, con 6,5 miliardi di dollari nel 2023. È lo 0,71% dei suoi asset totali, una percentuale tutt’altro che trascurabile. Ma è comunque una cifra che scende di oltre 2 miliardi rispetto all’anno precedente. Il totale del periodo 2016-2023 resta clamoroso: 67,3 miliardi di dollari. Nel leggere questi e altri dati bisogna chiarire che rispetto agli scorsi anni c’è stato un importante cambiamento di metodologia: ora il report prende in considerazione ogni singolo finanziatore, non più solo i capofila delle operazioni.

Volendo trovare un segnale positivo, la banca milanese è una delle tre – insieme alle francesi La Banque Postale e Crédit Mutuel – ad aver adottato una policy di stop totale ai finanziamenti al carbone. Altre quindici li hanno limitati, ma solo parzialmente. Unicredit resta tuttavia tra le maggiori finanziatrici di Eni, una società che punta ancora in modo preponderante su gas e petrolio. E che, attraverso la controllata Var Energi, va alla ricerca di idrocarburi anche nell’Artico.

Intesa Sanpaolo punta tutto sul gas naturale liquefatto

Se a Milano i finanziamenti alle fossili sono in calo, a Torino fanno un balzo in avanti. Intesa Sanpaolo nel 2022 aveva stanziato 4,7 miliardi di dollari e nel 2023 arriva a sfiorare i 6 miliardi, cioè lo 0,57% dei suoi asset. Raggiunge così un totale di 47,2 miliardi dal 2016 in poi. Dei quasi 6 miliardi del 2023, più della metà – 3,4 miliardi – vanno al gas naturale liquefatto (LNG). D’altra parte, Intesa Sanpaolo è la stessa che continua a finanziare i progetti estrattivi nella Rio Grande Valley, in Texas, da cui molte altre banche occidentali si sono tirate indietro temendo ripercussioni in termini di reputazione.

Banking on Climate Chaos le riserva almeno una nota parzialmente positiva, perché è una delle cinque banche – sulle 60 monitorate – che hanno limitati i finanziamenti alle società che estraggono gas e petrolio in Amazzonia. La policy non è ancora pienamente soddisfacente, ma c’è.

Da Deutsche Bank a ING Group, le pagelle di Banking on Climate Chaos

Ci sono poi tanti gruppi bancari che, pur non essendo italiani, sono ben radicati nel nostro Paese. Scorrendo la classifica di Banking on Climate Chaos, ne troviamo uno già in 21ma posizione: è Deutsche Bank, con gli sportelli bancari tradizionali per le famiglie, le carte di credito, il risparmio gestito, i finanziamenti alle imprese. Rispetto al 2016, ha più che dimezzato i suoi finanziamenti annui ai combustibili fossili passando da 28,6 a 13,3 miliardi di dollari; ma raggiunge comunque un vertiginoso totale di 132 miliardi negli otto anni considerati.

Poi c’è il gruppo olandese ING, con numeri di tutto rispetto anche nel nostro Paese: 1.200 dipendenti, 1,2 milioni di clienti privati e circa 500 imprese clienti del ramo wholesale. In questo caso, scorrendo le cifre dei finanziamenti di anno in anno non si notano grandi scossoni: nel 2023 sono circa 12,5 miliardi, nel 2016 erano 13,5. Come se nel frattempo non si fossero susseguiti gli allarmi inequivocabili del Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici (IPCC) sul futuro funesto cui andrà incontro il clima se non smetteremo immediatamente di estrarre e bruciare carbone, petrolio e gas.

I timidi passi avanti di BNP Paribas e Crédit Agricole

Subito dopo ING, in 25ma posizione, c’è la francese BNP Paribas. Presente sia con gli sportelli di BNL (che ha acquisito a seguito dello scandalo di Bancopoli) sia come banca online con Hello bank!. Il totale dei finanziamenti erogati dal 2016 in poi resta gigantesco (186,7 miliardi di dollari), ma ci sono alcune buone notizie. Come l’annuncio del blocco dei finanziamenti ai progetti di estrazione del carbone metallurgico, in aggiunta al carbone termico (che verrà del tutto abbandonato in Europa entro il 2030 e nel mondo entro il 2040). O la policy per tutelare l’Amazzonia dalle mire dell’industria estrattiva.

Sempre francese, ma con un solido presidio in Italia dopo aver assorbito Cariparma e Friuladria, è Crédit Agricole. Anch’essa molto generosa verso le fonti fossili, con 126,7 miliardi in otto anni. Mentre a Dubai si chiudeva la Cop28, l’istituto ha promesso di non finanziare più i nuovi progetti di estrazione di combustibili fossili. E di sforbiciare del 75% entro il 2030 – non più del 30% – le emissioni legate ai progetti che finanzia nel ramo del petrolio e del gas. Una bella sfida, considerato che tra i suoi clienti di punta c’è il colosso petrolifero TotalEnergies.