Le banche italiane preferiscono i servizi finanziari a concedere credito
Un rapporto della Fabi conferma: le banche italiane prediligono la vendita prodotti finanziari e assicurativi all'erogazione di credito
A cosa servono, o dovrebbero servire, le banche? Ma a prestare denaro, dirà anche il più sprovveduto dei risparmiatori. Per questo troviamo l’attestazione della funzione del credito fin dai babilonesi e dai greci. I loro templi erano prestatori: raccoglievano il denaro offerto dai fedeli, lo custodivano in sicurezza e lo prestavano su interesse. Ma da allora di acqua (pardon, soldi) sotto i ponti ne è passata molta. Quella di fare credito sembra non sia più oggi la funzione privilegiata delle banche italiane.
Una recente ricerca della Federazione autonoma bancari italiani (Fabi) dimostra infatti che i profitti degli istituti di credito della Penisola derivano più dalla vendita dei prodotti finanziari e assicurativi che non dai prestiti. Su un fatturato nel 2020 di 78,1 miliardi di euro, il 50,5% (cioè 39,4 miliardi) proviene proprio dalle commissioni legate alla vendita di prodotti finanziari e assicurativi. Solo il 49,5% (pari a 38,4 miliardi) dalla gestione del credito. Una tendenza in corso da almeno 15 anni. Dato che si presta a letture interessanti (e preoccupanti) sul modello stesso di banca.
Cambia la funzione della banca
Intanto allo sportello si è incentivati piuttosto a vendere prodotti finanziari e assicurativi. Cioè la banca diventa sempre più un supermercato dove si vendono a scaffale prodotti meno rischiosi del credito per l’istituto, ma più per il cliente. Le banche lamentano: l’attività creditizia ci rende poco, mentre la finanza ci dà maggiori remunerazioni. Ma sarà vero? C’è di che dubitarne. Ci muoviamo in un ambiente in cui la raccolta del risparmio direttamente dalla clientela retail non è remunerata e la liquidità che le banche possono acquisire dalla Banca centrale europea è addirittura fornita a tassi negativi. Quindi, i finanziamenti a famiglie e imprese, anche se con tassi molto bassi, possono comunque assicurare un margine di guadagno significativo.
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Inoltre, l’aumento del credito registrato di recente è stato reso possibile solo grazie a diverse forme di sostegno pubblico a protezione dei prestiti, attivate nell’ultimo anno dal governo per alleviare lo shock costituito dalla pandemia, iniettando denaro liquido nell’economia reale. Ma la ricerca mette in evidenza che i finanziamenti garantiti dallo Stato sono stati pari a 190 miliardi di euro. Mentre l’aumento complessivo dei finanziamenti bancari concessi a imprese e famiglie è stato solo di 52 miliardi. Perché questo disallineamento? Essenzialmente perché quasi tre quarti della garanzia statale sono stati utilizzati dalle banche per sostituire crediti già in essere. E quindi per garantire ulteriormente i bilanci delle banche e ridurre il loro rischio. Non per attivare nuovi prestiti, come invece era nell’intenzione del governo. Insomma le banche hanno utilizzato il denaro pubblico più per rafforzare se stesse che non l’economia reale.
La gestione delle sofferenze come scusa
Di nuovo, le banche giustificano questa strategia con l’inasprimento che a livello europeo le norme hanno stabilito per la gestione delle sofferenze, dei crediti deteriorati. E in effetti ve n’era qualche ragione se soltanto riportiamo la nostra memoria alle vicende di MPS di casa nostra o a quelle più ampie della crisi del 2007-2008.
Ma è difficile evitare due riflessioni. La prima è che proprio il fatto che le banche italiane si sono liberate di enormi masse di npl (non-performing loans, ovvero crediti deteriorati) grazie alla agevolazione fiscale stabilita dal governo nel decreto “Cura Italia” durante il Covid, ciò avrebbe potuto e dovuto indurre le banche a riprendere con maggiore coraggio ad erogare credito.
La seconda è che le norme che hanno favorito la cessione degli npl (nel triennio 2017-2019 in una dimensione pari al 17%, per 101 miliardi), hanno rafforzato i fondamentali delle banche che dunque sono uscite dal Covid con una maggiore disponibilità di attivi da impiegare nelle attività core, come appunto il prestito.
Le banche che fanno il loro mestiere
Questa tendenza delle banche italiane a impiegare i propri attivi più nell’offerta di prodotti finanziari che nella concessione di crediti è confermata dai dati che Fondazione Finanza Etica da quattro anni ormai registra nel proprio Rapporto sulla Finanza Etica e Sostenibile in Europa. Nel quarto di questi, relativo ai dati 2019, si consolida il dato già registrato negli anni precedenti proprio relativo alla propensione dell’insieme delle banche europee ad erogare crediti. Soltanto il 38,7% degli attivi delle 4.500 banche attive nell’area-euro si trasforma in crediti.
Nelle banche etiche europee invece tale percentuale raggiunge il 76,4%. I risultati di questo rapporto sottolineano l’esistenza di due diversi modelli di banche. Quelle etiche e sostenibili, che fanno banca in modo classico: ciò per cui queste istituzioni sono state create, raccogliere depositi e concedere prestiti. Quelle “mainstream”, al contrario, si dedicano molto di più ad altre attività (investimenti in titoli, servizi finanziari, ecc.), meno rivolte a sostenere l’economia reale.
Lo stesso Rapporto di Fondazione Finanza Etica conferma la tendenza delle banche italiane. Anche per ciò che comporta la performance. Il rapporto di Fabi ci dice che il Roe (return on equity, che misura la redditività di una banca) dopo aver toccato il massimo nel 2018 con il 6%, nel 2020 è sceso all’1,9% Il Rapporto di Fondazione Finanza Etica, usando questo stesso indice, verifica che il Roe delle banche etiche e sostenibili europee nel decennio 2009-2019 ha reso il 5,31%, mentre l’insieme delle banche europee nello stesso lasso di tempo si ferma al 2,37%
Quale modello funziona meglio?
Fare banca davvero si dimostra, oltre che più corretto rispetto alle finalità sociali che esse devono avere ai sensi della nostra Costituzione, anche più sano dal punto di vista dell’azienda: crescono ogni anno prestiti, attivi e patrimonio netto di circa il 10% l’anno di media nel decennio 2009-2019 e i soli attivi dell’8,3% nel 2019 a fronte dello 0,63% dell’insieme delle banche europee. Lo stesso risultato del Roe già citato è frutto di una maggiore stabilità e di una minore volatilità dei risultati delle banche etiche e sostenibili. Che invece risulta molto alta nelle banche mainstream, grazie anche al fatto di occuparsi molto più di finanza e investimenti, che di prestiti e impieghi.