A chi giova il boom mondiale di fusioni e acquisizioni
C'è grossa crisi, la rubrica che vi spiega perché dovete interessarvi di finanza. Prima che la finanza si interessi di voi
Le grandi imprese sembrano aver scelto la ricetta per superare la crisi: diventare più grandi, più forti e controllare quote di mercato crescenti. Preparatevi dunque ad un sistema economico sempre più oligopolistico. Se tra gennaio e maggio il valore delle operazioni di fusione e acquisizione nel mondo aveva già toccato la cifra record di 2.400 miliardi di dollari, entro la fine dell’anno le previsioni sono di un’ulteriore accelerazione.
A confermarlo è stato Jamie Dimon, numero uno del colosso bancario JP Morgan. Il dirigente americano, in una conferenza online organizzata da Morgan Stanley, ha mostrato di fregarsi già le mani di fronte all’impennata. Proprio gli Stati Uniti rappresentano infatti il cuore dell’attività di fusioni e acquisizioni, con affari siglati per 1.210 miliardi di dollari soltanto nei primi cinque mesi dell’anno. Il che equivale ad una crescita del 281% rispetto al 2020.
Così, di fatto, un numero sempre più ristretto di soggetti acquisisce potere politico, economico e contrattuale. Dopo un 2020 nel corso del quale Alstom ha comprato Bombardier, AON ha comprato Willis Towers Watson, Analog Devices ha comprato Maxim Integrated, Morgan Stanley ha comprato E*Trade, Just Eat ha comprato GrubHub. E così via.
Certo, ci sono i limiti antitrust. Certo, ci sono le autorità di controllo che dovrebbero vigilare. Certo, alcuni politici di tanto in tanto alzano la voce contro le concentrazioni eccessive e gli oligopoli. Ma le fusioni e acquisizioni sfrenate spesso comportano enormi costi sociali, fatti principalmente di tagli e licenziamenti. Ma anche di minore concorrenza e dunque minore scelta per i consumatori. E di rischi di “cartelli” sui prezzi.
E soprattutto: se, come spiegano studi di esperti, soltanto il 50% delle operazioni si rivela alla fine un successo industriale e strategico, cui prodest? Nell’immediato, a gioire sono banchieri, consulenti e azionisti. Che fatturano per i servizi resi e vedono le azioni volare in Borsa. Il resto, per loro, conta poco.