Il calcio capitalista è in mano a pochi, ricchi e potenti

Il calcio è sempre più in mano a pochi soggetti, sempre più finanziarizzato e sempre più tendente ad un oligopolio

Il calcio è sempre stato in mano a pochi, ma le concentrazioni sono cresciute nel tempo © ALLVISIONN/iStockPhoto

Da sempre il pallone è un affare per pochi. Le prime squadre sono espressione delle compagnie ferroviarie, marittime o minerarie. Non c’è posto per gli altri. Si originano differenze, si creano spaccature, si producono strappi che non saranno più ricucibili. Da lì in poi i pochi più ricchi lo saranno sempre di più.

Il calcio dalle compagnie ferroviarie alla finanza globale

Essendo un prodotto dell’industria culturale il calcio accompagna, e a volte anticipa, i modi di produzione della società di cui è espressione. Ed essendo il sistema capitalista tendente per sua natura al monopolio così è anche per il gioco più seguito al mondo. Con il passare del tempo cambiano i modi di produzione, l’industria pesante lascia spazio a quella leggera, la globalizzazione e la logistica creano nuovi modi di produzione, la finanza sostituisce l’economia, e il calcio si adatta.

Calcio, business e oligopoli
I diritti tv rappresentano una delle principali “torte“ che si spartiscono le società calcistiche. La maggior parte degli introiti va a un pugno di squadre © Nopphon Pattanasri/iStockPhoto

Oggi le poche squadre che detengono tutta la ricchezza non sono più espressione delle compagnie ferroviarie, marittime o minerarie, ma degli hedge fund della finanza globale. Ma poco cambia. Con minime variazioni sul tema, sempre quelle sono.

Se in Inghilterra, Germania e Francia questa tendenza all’accumulazione e al monopolio è visibile fin da subito, in Italia per osservarla bisogna aspettare la fine del fascismo. Che nella sua tragica e violenta follia è la culla del calcio italiano. Responsabile della sua istituzionalizzazione con la creazione del primo campionato nazionale e la nascita dei grandi club nelle grandi città.

Nel secondo dopoguerra l’era della grande borghesia italiana

Nel dopoguerra la grande borghesia italiana acquista le squadre delle metropoli. Alla Juventus, già degli Agnelli, si aggiungono l’editore Rizzoli al Milan, l’industriale tessile Befani alla Fiorentina, il banchiere Sacerdoti alla Roma, il petroliere Moratti all’Inter. E si segna una prima netta cesura: con poche lodevoli eccezioni – e stiamo pur sempre parlando di grandi città come Cagliari, Firenze, Verona, Genova e Napoli – nessuna “provinciale” vincerà mai più nulla. Il Cagliari, per fare un solo esempio, vince quando per interessi petroliferi di controllo del territorio la società passa nelle mani di Moratti, ex padrone dell’Inter. Il potere economico, politico e sociale del calcio è già concentrato in pochissime mani.

Mano a mano che nel calcio girano più soldi la tendenza all’oligopolio si fa sempre più marcata, e quando in occidente si passa dalle ultime fasi del capitalismo industriale alle prime del tardo capitalismo finanziario, la creazione di un pugno di eletti soli e unici in grado di trionfare diventa realtà. Ben prima che si decida di fare o meno una Super Lega chiusa e a inviti sul modello di business dello sport americano.

Con l’esclusione della maggior parte delle squadre tedesche e di poche altre, oggi i grandi club che partecipano alla Champions League sono quasi tutti controllati, a volte attraverso semplici quote di minoranza, dai soliti fondi d’investimento. Siano essi misti pubblico-privati cinesi (Inter, Atletico Madrid), sovrani nella penisola arabica (Manchester City, Psg), bancari nelle regioni autonome (Real, Barcellona) o finanziari negli Stati Uniti (Manchester United, Liverpool, Juve, Milan).

L’inutile Financial Fair Play che avrebbe dovuto democratizzare il pallone

Lo stesso si può dire dei calciatori, le cui procure sono controllate da pochi cartelli che ne stabiliscono i destini, oltre a influenzare i campionati oltre ogni decenza. Ma questa tendenza oligopolista non è determinata a priori da un qualche spirito della storia, a maggior ragione nel calcio, che essendo un gioco si basa sull’imprevisto. Piuttosto, c’è bisogno di un sistema giuridico ad hoc che favorisca la concentrazione di potere.

Il primo banco di prova a livello legislativo, nei vari campionati europei, è la distribuzione dei diritti televisivi alla fine del secolo scorso. Dopo il botteghino, le sponsorizzazioni, il mercato, ecco che sulle solite e poche grandi squadre piove una quantità immensa di soldi: i diritti tv da soli valgono la metà del fatturato di una società di calcio (in Italia arrivano a sfiorare il 70%). E la distribuzione di questi soldi è stabilita in base agli ultimi risultati, al bacino di utenza e all’albo d’oro storico.

Anche un bambino capirebbe che è studiata per riempire di soldi chi li ha già. Lo stesso discorso vale, un paio di lustri dopo, per il Financial Fair Play. Presentato da Michel Platini, allora presidente Uefa, come strumento di democratizzazione del pallone in realtà ha definitivamente cristallizzato l’oligopolio. E affossato ogni possibilità di ricambio. Permettendo di spendere in base ai guadagni, ha fatto sì che i ricchi potessero investire di più e diventare ancora più ricchi. Alla faccia di chi rimaneva tagliato fuori.

Un rigidissimo ordinamento giuridico per favorire i ricchi del calcio

Lo sviluppo del liberismo di scuola austriaca, per dispiegarsi in tutta la sua potenza, ovvero per permettere ai vincitori di continuare a vincere alla faccia delle tanto decantate libertà, necessita di un rigidissimo ordinamento giuridico. E il pallone, prodotto dell’industria culturale e specchio della società, non fa differenza. Come abbiamo visto, per aiutare la creazione di monopoli invincibili e traghettare il calcio nella nuova dimensione finanziaria, è stata necessaria tutta una serie di leggi ad hoc. E così oggi, secondo tutte le analisi e i report annuali delle aziende specializzate, da Deloitte a Kpmg, le prime dieci-dodici squadre a livello europeo hanno da sole un fatturato superiore a tutte le altre migliaia messe insieme.

E siccome i soldi delle televisioni, così come quelli degli sponsor, del marketing e del merchandising, diventati oramai strutture con ramificazioni globali, continuano per legge ad andare in quantità maggiore a chi già ha più soldi, la tendenza si è fatta sistema. Nel calcio esiste già una Super Lega di pochi e invincibili padroni. Non si può più tornare indietro, anche perché, indietro, la situazione non era poi così diversa.