La Brexit ha funzionato solo nel pallone
Per il calcio inglese l'uscita dall'Europa è iniziata ben prima della Brexit. E con ben altri effetti
Inflazione alle stelle, ipotesi di recessione, esportazioni crollate, imprese in bancarotta, povertà e disoccupazione tra la gente. Detta così, la Brexit non deve essere stata una grandissima idea. Non lo è stata per la Gran Bretagna come Paese, ma lo è stata per il calcio inglese, che la sua personale uscita dall’Europa la cominciò suo malgrado nel 1985, quando fu escluso dalle Coppe per cinque anni a seguito della tragedia del Heysel.
Da allora, con la nascita della Premier League nel 1992, la costruzione dei nuovi stadi (con soldi pubblici, che il capitalismo funziona solo con la privatizzazione dei profitti e la socializzazione delle perdite, è bene ricordarlo) e il conseguente e vertiginoso aumento dei diritti tv, il calcio inglese non ha più nulla a che fare con il resto del mondo. Europa in primis. È una Superlega de facto.
Oggi le televisioni per trasmettere il calcio italiano pagano circa 1 miliardo l’anno alla Serie A per i diritti nazionali ed esteri, poco più che in Francia (0,8 per la Ligue 1) e poco meno che in Germania (1,4 per la Bundesliga). La Liga spagnola è riuscita a raddoppiare, e prende circa 2 miliardi l’anno. La Premier ne prende quasi 5, e già da sola vale come gli altri messi insieme. E secondo The Times per il prossimo triennio 2022-2025 ne prenderà almeno il doppio.
Per rendere ancora più impietoso il raffronto, basti pensare che il Norwich City, che lo scorso anno è arrivato ultimo in Premier, a fine stagione si è portato a casa 116,4 milioni di euro. L’Inter, che pur perdendo lo scudetto è quella che ha incassato di più in Italia, solo 84,2 milioni di euro. I due terzi. Tutto questo porta la Premier League a investire sul mercato calciatori del 2022 la cifra record di 2,1 miliardi, ovvero tanto quanto tutte le altre messe insieme se guardiamo a Serie A (749,2 milioni), Ligue 1 (558), Liga (505,7) e Bundes (484,1).
Tradotto fuori dai numeri significa che – tolti Real, Barça e Bayern Monaco per il prestigio, e il Psg per i soldi – oggi un campione o anche solo un progetto di campione preferisce andare a giocare in una squadra di bassa classifica inglese piuttosto che in una di alta classifica degli altri campionati. Il risultato è che oramai in Premier League, dove ambiscono a lavorare i migliori tecnici, calciatori e dirigenti, si gioca un calcio completamente diverso. C’è la stessa differenza che c’è tra la Nba e il basket europeo. Si può preferire il primo o il secondo, questione di gusti, ma non si può negare la differenza: il calcio inglese è oramai altra cosa. Peccato che, per il resto, la Brexit sia stata una mazzata terrificante.