Il calcio italiano è molto più razzista di quel che sembra
Uno studio indica che, in serie A, i giocatori non bianchi sono punti più di frequente e con più sanzioni in campo
Il calcio italiano è razzista? Certo che sì. Ma la risposta è peggiore di quello che ci si potrebbe aspettare. Lo si evince da una recente ricerca sui fischi arbitrali in Serie A in cui emerge una vergognosa disparità di trattamento nei confronti dei calciatori non bianchi. A rendere e a mantenere il calcio razzista nella sua struttura sono coloro che esercitano il potere, o che detengono il monopolio legittimo della forza, per parafrasare Max Weber. Ovvero i dirigenti federali, le regole e gli statuti. E infine gli arbitri. La responsabilità non è però solo degli ufficiali di gara, meri esecutori dell’ideologia dominante, ma del sistema che li produce e a cui loro devono obbedire.
Il calcio italiano è razzista non solo perché dalle tribune, prima ancora che dalle curve, si sentono ogni giorno fischi e ululati nei confronti dei calciatori neri. O perché il presidente della Federcalcio chiama i neri “mangiatori di banane”. O il vignettista della Gazzetta dello Sport ritrae Mario Balotelli come uno scimmione. O perché giornalisti e opinionisti ancora oggi, nel ventunesimo secolo, ci propinano lo stereotipo dei calciatori bianchi abili a pensare e dei calciatori neri abili a eseguire. Per non parlare del nero forte atleticamente e indolente mentalmente. E altre bestialità coloniali del genere.
Il calcio italiano è razzista non solo perché non “puoi” ma “devi” scendere in campo con gli stendardi delle varie campagne antirazziste e osservare minuti di silenzio, addirittura con messaggi governativi che sembrano venire dal Corrado Guzzanti di Fascisti su Marte, ma non appena mostri uno striscione di solidarietà con le vittime della strage di Cutro arrivano multe e sei squalificato. Come è successo alla Asd Athletic Brighela.
Il calcio italiano è razzista perché il potere è esercitato per mantenerlo tale. Lo dimostra appunto il paper di Beatrice Magistro e Morgan Wack intitolato “Racial Bias in Fans and Officials: Evidence from the Italian Serie A”. I due docenti, delle università di Toronto e Washington, hanno preso in considerazione quasi diecimila partite giocate in Serie A negli ultimi dieci anni e hanno scoperto che ai calciatori neri, o non bianchi per la precisione, sono fischiati molti più falli rispetto ai calciatori bianchi. Il 20% in più. E con lo stesso numero di falli, invece, i non bianchi prendono l’11% delle ammonizioni e il 16% delle espulsioni in più.
Il paper, che compara questa tendenza della Serie A a studi su altri sport, principalmente nordamericani, dove c’è sempre la tendenza a sorvegliare, punire e squalificare i non bianchi, racconta un altro fatto abbastanza curioso. Durante la pandemia, quando in Serie A si giocava con gli stadi chiusi, e quindi non si sentivano fischi e ululati nei confronti dei neri, i pregiudizi razziali degli arbitri sono diminuiti. I casi sono due. O a porte chiuse i calciatori neri smettono di essere indolenti e di mangiare banane. O forse, senza dover rispondere ai peggiori istinti che essi stessi alimentano, coloro che detengono il monopolio legittimo della forza nel pallone possono anche utilizzarlo in maniera meno violenta. Chissà.