Le arene sportive sono arene politiche
Dopo un secolo di timore e di acquiescenza, oggi le arene sportive sono in tutto e per tutto delle arene politiche
«Le arene sportive non devono trasformarsi in arene politiche. Nessuna provocazione sarà permessa», ha dichiarato il ministro turco dello Sport Mehmet Muharrem Kasapoğlu. Perché dopo il terribile terremoto che ha colpito la Turchia meridionale, con le leggi promulgate negli ultimi anni che limitano il diritto a manifestare il dissenso sui media e nelle piazze, sono i tifosi delle squadre di calcio a essere tornati la più forte, rumorosa e visibile forma di contestazione al presidente Recep Tayyip Erdoğan.
Sono tornati, dicevamo. Perché esattamente dieci anni fa, nel maggio 2013, nelle proteste nate contro la costruzione di un centro commerciale nel parco Gezi di Istanbul, e poi diventate manifestazioni antigovernative diffuse in tutto il Paese, furono gli ultras a gestire le piazze contro la repressione del potere. Le tifoserie cittadine di UltrAslan (Galatasaray), Vamos Bien (Fenerbahçe) e Çarşı (Beşiktaş), solitamente feroci rivali, si unirono addirittura negli Istanbul United per scendere nelle strade a sfidare Erdoğan.
E così oggi. Canti contro Erdoğan, striscioni, orsacchiotti di peluche gettati in campo a ricordare le vittime del terremoto e le responsabilità della politica e degli industriali nella tragedia, si sono diffusi in quasi tutti i campo di calcio. L’opposizione oggi in Turchia arriva dallo stadio Şükrü Saraçoğlu dove gioca il Fenerbahçe di cui il presidente è tifoso, o dalla Vodafone Arena del Beşiktaş, i cui tifosi sono sempre stati all’estrema sinistra. E così in tutto il Paese.
Non si sa se basterà questo, unito alla discesa in campo di Kemal Kılıçdaroğlu come candidato unico delle opposizioni, per impedire all’attuale presidente Erdoğan di rivincere le elezioni a maggio. Ma questo basta a confermare il decisivo salto di paradigma osservato negli ultimi dieci anni dentro e fuori le arene sportive. Dentro, con le dichiarazioni e le manifestazioni degli atleti a sostegno di Black Lives Matter e dei vari movimenti contro l’identità di genere. E fuori, dagli ultras egiziani e tunisini durante le primavere arabe alle proteste odierne in Turchia, dalle curve alle strade di tutto il mondo.
Certo, ci sono anche esempi di dichiarazioni e manifestazioni di atleti e tifoserie conservatrici e filo establishment, ma come nota giustamente Dave Zirin su The Nation, la polarizzazione politica avvenuta negli ultimi dieci anni nello sport, la volontà degli atleti di esporsi con parole e gesti, sono per fortuna fenomeni oramai acquisiti. E non più cancellabili. Con buona pace del ministro turco per lo sport Mehmet Muharrem Kasapoğlu, dopo un secolo di timore e di acquiescenza, oggi le arene sportive sono in tutto e per tutto delle arene politiche. E le provocazioni, dentro e fuori, saranno all’ordine del giorno.