La campagna “Riprendiamoci il Comune” è partita ma le firme digitali sono una chimera
In Italia, la piattaforma per la raccolta delle firme digitali non è ancora stata attivata. E nemmeno è stato annunciato quando lo sarà
La campagna “Riprendiamoci il comune”, che promuove due leggi d’iniziativa popolare – la prima legata ai “Principi e disposizioni per la riforma della finanza locale”, la seconda ai “Principi e disposizioni per la tutela del risparmio e la socializzazione di Cassa Depositi e Prestiti” – è ufficialmente partita il 4 febbraio ed è promossa a livello territoriale da oltre 70 comitati locali. L’obiettivo è quello raccogliere 50mila firme entro la metà di luglio 2023. Ma per raggiungerlo, al momento, gli organizzatori della campagna possono soltanto contare sulle firme cartacee. Ancora niente da fare per le firme digitali.
E dire che la firma digitale estenderebbe la possibilità di partecipazione democratica da parte di tutti i cittadini e cittadine che hanno interesse per la campagna ma non hanno a disposizione nelle vicinanze uno dei classici banchetti dei volontari. L’articolo 71 della Costituzione sancisce quali sono i diritti della legge d’iniziativa popolare e tra questi si parla proprio di “democrazia diretta”. Che può essere implementata attraverso le innovazioni tecnologiche. Eppure una piattaforma funzionante ancora non c’è.
Le firme digitali in Italia sono in “fase di test“
A dire il vero la piattaforma c’è ma è “in fase di test”, quindi al momento non è accessibile. E nemmeno è stato annunciato quando lo diventerà. Si tratta di un grave impedimento per chi, come “Riprendiamoci il Comune”, sta lavorando a iniziative di questo genere. «Il nostro Paese è già in gravissimo ritardo su questo tema», spiega Marco Bersani, presidente di Attac Italia e tra i promotori dell’iniziativa. «Nel 2014, l’Unione Europea ha approvato il Regolamento eIDAS (electronic Identification Authentication and Signature, nda), che equipara le firme digitali a quelle cartacee per referendum e iniziative popolari. E nel novembre 2019 il nostro Paese è stato condannato dal Comitato Diritti Umani dell’Onu, con l’ingiunzione ad approvare una legge in merito entro 180 giorni».
Riprendiamoci il comune
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Ufficialmente la nuova piattaforma è stata istituita con la legge di bilancio del dicembre 2020 e sarebbe dovuta essere attiva già a gennaio 2022. Ma il Dpcm è stato approvato il 9 settembre 2022 e nel novembre 2022 è stata approntata la piattaforma. Che però a febbraio 2023 non risulta ancora attiva. A precisa richiesta degli organizzatori, il dipartimento per la Trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio dei Ministri non ha fornito alcuna tempistica a proposito di una sua prossima attivazione.
L’unica soluzione è rivolgersi alle piattaforme private a pagamento
Dunque non sono bastati i richiami internazionali e le proteste da parte di diverse associazioni per far superare all’Italia il sistema delle firme cartacee. Inoltre, l’associazione Luca Coscioni ha sottolineato come, anche quando la piattaforma sarà disponibile online, questa andrà a riparare solo parzialmente alle violazioni degli obblighi internazionali che l’Italia è tenuta a rispettare. Infatti, il portale consente unicamente la raccolta delle firme per i referendum e per le proposte di legge di iniziativa popolare. Mentre non sarà possibile presentare le liste elettorali per le elezioni locali, politiche ed europee. Inoltre, quando è stata annunciata a novembre, la piattaforma presentava una serie di impedimenti tecnici relativi, ad esempio, all’accoppiamento delle firme con i relativi certificati elettorali.
Insomma, la piattaforma non è ancora entrata in funzione e già presenta una serie di problemi. Basterebbe prendere ad esempio altri Paesi europei dove sistemi simili sono già in funzione. Come la Germania, oppure la piattaforma partecipativa istituita per la Conferenza sul futuro dell’Europa.
In Italia, invece, non resta che rivolgersi alle piattaforme private, accreditate dal Ministero, per raccogliere le firme digitali. È già successo nel caso della raccolta firme relativa alla legalizzazione della cannabis (referendum dichiarato inammissibile dalla Corte Costituzionale), che aveva raggiunto 545mila firme. Ma nel caso delle piattaforme private, il costo medio per una firma è di 1,50 euro. Nel caso di “Riprendiamoci il Comune” il costo totale ammonterebbe a 150mila euro, nel caso si raggiungesse il numero minimo stabilito. Un esborso troppo grande per far garantire un diritto.