Quale carne mangeremo? La bistecca veg guadagna terreno
Si apre e cresce il mercato dei sostituti vegetali della carne da allevamenti. Tra 10 anni potremmo avere al supermercato quella coltivata da cellule staminali
Carne: per definirla non basta più questa parola. L’alimento simbolo del conquistato benessere delle società occidentali, ancora considerato tale per quelle emergenti (asiatiche, innanzitutto), vive una stagione di rivoluzioni. Rivoluzioni formali ,più o meno riuscite, se c’è voluto un recentissimo voto dell’Europarlamento per affermare che si può chiamare burger, bistecca o salsiccia anche un prodotto di origine vegetale. E rivoluzioni sostanziali, se possiamo parlare di carne sintetica e coltivata in laboratorio, invece che frutto dell’allevamento e della macellazione degli animali.
E allora cerchiamo di fare un po’ di chiarezza, a partire da alcuni punti fermi.
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Effetti collaterali dell’allevamento intensivo
Innanzitutto partiamo dalla consapevolezza che l’attuale modello produttivo basato sugli allevamenti intensivi produce effetti negativi enormi. Innanzitutto comporta emissioni di CO2 e metano, nonché deiezioni acide, direttamente prodotte da milioni di capi. Ed è connesso a pratiche di land grabbing e deforestazione (talvolta ottenuta per mezzo di roghi) per acquisire spazi al pascolo e alla coltivazione destinata ai mangimi (condotta con ampio uso di fitofarmaci).
E poi ci sono rischi sanitari dovuti all’uso smodato di antibiotici e a patologie connesse al consumo eccessivo di carne. E rischi indiretti come l’insorgere di malattie pericolose per l’uomo, originate da patogeni trasmessi dagli animali selvatici. Zoonosi quali l’influenza aviaria e suina, e probabilmente il Covid19.
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Carlo Petrini difende la carne “sostenibile”
«Per migliorare il modo in cui pasteggiamo, non abbiamo bisogno di mangiare soia travestita da salsiccia, al contrario abbiamo bisogno di mangiare una buona salsiccia qualche volta in meno e una bella zuppa di legumi e cereali qualche volta in più». Lo scriveva Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, in un commento pubblicato da La Stampa qualche settimana fa. Un richiamo, da un lato, ad evitare confusione e infingimenti, dall’altro, a promuovere e difendere il lavoro degli allevatori, quelli “di prossimità” innanzitutto, che adottano pratiche sostenibili.
La diatriba sui termini si chiude a Bruxelles
Un richiamo che però non ha trovato d’accordo i parlamentari europei, i quali hanno deluso anche le aspettative dell’italiana Assocarni. L’organizzazione di Confindustria che raduna le imprese del settore e chiama dispregiativamente “carne finta” quella di origine vegetale, ha infatti dovuto incassare la bocciatura avvenuta all’Europarlamento di alcuni emendamenti alla Politica Agricola Comune (PAC). Non è passato, tra gli altri, l’emendamento 165, approvato dalla commissione Agricoltura ad aprile 2019, che associava termini normalmente relativi alla carne, come hamburger, salsiccia o bistecca, “esclusivamente alle parti commestibili degli animali”. E perciò è stato frenato il divieto di associarli anche a prodotti alimentari di origine vegetale.
Sostituti vegetali: un mercato da 140 miliardi di dollari nel 2029
Tolta di mezzo, per ora, la querelle sulla denominazione, le principali alternative vegetali alla carne da allevamento sono prodotti a base di soia, di grano (il seitan, ad esempio) e di micoproteine come il qorn. E molti operatori hanno scommesso sui succedanei (alimenti che imitano la carne per consistenza e gusto) e sui sostituti per apporto proteico della carne animale. Tant’è che una delle più note banche d’affari, la britannica Barclays, ha dedicato un rapporto all’argomento: I Can’t Believe It’s Not Meat.
Secondo Barclays assisteremo infatti a un’importante crescita di questo settore e gli operatori storici dell’industria potrebbero accaparrarsi circa il 10% del mercato globale della carne grazie alla “carne senza animali”. Parliamo di un giro d’affari che può raggiungere i 140 miliardi di dollari di valore nel prossimo decennio.
Tra casi di Borsa e soliti noti, la “carne vegetale” desta l’appetito
I comparti interessati sono quello agricolo, alimentare in generale e della ristorazione in particolare. Basti ricordare l’Impossible Burger di Burger King e il McPlant di McDonald’s. E, visto che le cifre si fanno interessanti, i soliti noti si muovono. L’istituto britannico afferma, infatti, che «mentre i grandi operatori storici come TSN, K, KHC, CAG, Nestlé e Kerry, tra gli altri, hanno investito in alternative di carne a base vegetale o hanno sviluppato le proprie, altri continuano a collaborare con le startup di tecnologia alimentare con sede in California nel tentativo di prendere parte al loro successo iniziale (ad esempio, l’investimento di Cargill in Memphis Meats)».
E, se qualche mese fa il coronavirus spingeva le vendite dei sostituti vegetali della carne, qualcuno ne ha tratto subito beneficio. Ad esempio Beyond Meat, la cui partenza a razzo in Borsa (+160% nel primo giorno di negoziazione il 2 maggio 2020) ha destato scalpore. E generato qualche perplessità iniziale, confermate pure da una recente caduta del titolo. Ma cominciano ad essere parecchi i player di livello in campo. Imprese che puntano sia ai consumatori vegetariani/vegani che ai cosiddetti flessitari o a quelli dall’anima più ambientalista (Impossible Foods).
Carne “coltivata” in laboratorio? Si può fare!
Scienziati e startup biotech, intanto, stanno lavorando per rendere commercializzabile un’altra carne. Si tratta della “carne coltivata” prodotta (o forse meglio “riprodotta”) a partire da cellule staminali animali estratte tramite biopsia, ovvero da colture cellulari condotte in un bioreattore. Detta anche “carne pulita”, “carne in vitro” o “carne sintetica” (così non appare davvero molto appetitosa), è però improbabile che arrivi sugli scaffali del supermercato prima di un decennio.
Una soluzione che, come è facile intuire, accende il dibattito e scatena estimatori e detrattori, ma che finora ha un principale problema: il costo. Ricerche e investimenti ne sono stati fatti dal 2013, quando il primo hamburger artificiale – di aspetto gradevole e consistenza discutibile – valeva 250mila euro e veniva cotto in mondovisione. E benché ci sia chi ipotizza che una versione odierna dello stesso piatto potrà costare “solo” 10 dollari nel 2021, il prezzo di un chilo di carne in vitro è ancora stimato in diverse centinaia di dollari.
Certo, ci sono da considerare i vantaggi – soprattutto sanitari e ambientali – che elenca, per esempio, un documento pubblicato a firma del comitato etico della Fondazione Umberto Veronesi. Ma le perplessità sulla potenziale riduzione dell’occupazione, sull’impiego – costoso e controverso – di siero fetale bovino e sul rischio che una produzione ingegnerizzata diventi ennesimo terreno gestito da pochissimi, sono ancora da sciogliere. E anche sul reale impatto ambientale c’è chi alza il sopracciglio, almeno finché l’energia che alimenta i laboratori o le future factories di produzione non sarà interamente rinnovabile e pulita.
L’Europa alla carne sintetica ci pensa eccome
Tuttavia chi pensasse che sulla carne in vitro si sia ancora a livello di fantascienza, resta deluso. Basti ricordare quanto accadeva solo l’anno scorso a Bruxelles, quando dell’argomento discettava un certo Vytenis Andriukaitis .
L’allora commissario europeo per la Salute e la sicurezza alimentare nella Commissione Juncker, a un’interrogazione parlamentare sulla carne coltivata, rispondeva con perfetta cognizione. E dichiarava: «Su richiesta della Commissione, una relazione di esperti indipendenti ha identificato nel 2018 lo sviluppo di nuove alternative alla carne come un percorso importante per realizzare l’iniziativa Food 2030 della Commissione». E aggiungeva che questa strada veniva tenuta in considerazione «per fornire un sistema alimentare sostenibile e intelligente per il clima per un’Europa sana».