Se l’Europa affida la sua strategia climatica a un miraggio
Nel piano europeo per il clima c'è spazio per i sistemi di cattura e stoccaggio della CO2. Ma sono pochi, costosi e di dubbia efficacia
Meno 90% di emissioni nette di gas a effetto serra entro il 2040. Dopo il -55% entro il 2030, già giuridicamente vincolante, era questo il tassello che mancava per completare la tabella di marcia dell’Unione europea verso la carbon neutrality al 2050. Un tassello che la Commissione ha voluto aggiungere a inizio febbraio, come eredità politica in vista delle elezioni di giugno (sarà poi la prossima Commissione a trasformalo in legge).
Di per sé, il target corrisponde a ciò che la scienza ci chiede con forza. Di per sé, l’obiettivo è sacrosanto: smettere di alimentare il riscaldamento globale, e farlo prima che assuma proporzioni catastrofiche. Peccato che, per raggiungerlo, la Commissione si affidi in modo massiccio ai sistemi di cattura e stoccaggio della CO2. Cioè a qualcosa che, fondamentalmente, ad oggi non esiste.
Quanto conta la cattura e stoccaggio della CO2 nelle strategie dell’Unione
Almeno 50 milioni di tonnellate all’anno entro il 2030, 280 milioni entro il 2040, 450 milioni entro il 2050. Questa, secondo la Strategia di gestione delle emissioni dell’industria, è la quantità di CO2 che l’Unione europea dovrà essere in grado di rimuovere dall’atmosfera per rispettare le proprie promesse. Per avere un termine di paragone, l’economia di uno Stato come l’Italia emette in atmosfera circa 400 milioni di tonnellate l’anno.
False soluzioni
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Ma da dove si possono “pescare“ tutti questi gas ad effetto serra? 140 milioni di tonnellate dai processi industriali, 55 dalle centrali alimentate a combustibili fossili, altri 230 dalla produzione di energia da biomasse e mediante cattura diretta dall’aria (DAC). Questa, almeno, è la proiezione al 2050. Sempre nel 2050, sui 450 milioni di tonnellate di CO2 catturati all’anno, 250 andranno stoccati sottoterra (si parla quindi tecnicamente di cattura e stoccaggio, CCS); tutti gli altri saranno “riciclati” per produrre carburanti sintetici o materiali alternativi alla plastica (la sigla è CCU, cattura e utilizzo dell’anidride carbonica).
Il miraggio della cattura diretta dall’aria (DAC)
Sarebbe perfetto, se solo questi sistemi funzionassero. Ad oggi, siamo lontani anni luce dal potervi contare sulla base di tali quantità. L’esempio più eclatante è la cattura diretta dall’aria (DAC). Nel piano della Commissione si legge che nel 2050 si dovrebbe recuperare il 40% della CO2, cioè grossomodo 180 milioni di tonnellate all’anno. Oggi, gli impianti commissionati in tutto il mondo sono ventisette. Con una capacità di 10mila tonnellate di CO2 all’anno. Diecimila tonnellate in tutto il mondo, contro i 180 milioni che l’Unione europea – da sola – vorrebbe raggiungere nel 2050.
Certo, mancano ancora decenni. L’Agenzia internazionale dell’energia (IEA) fa sapere che nel mondo ci sono almeno 130 progetti a vari stadi di sviluppo. Se tutti procedessero esattamente secondo i piani, nel 2030 potrebbero arrivare 75 milioni di tonnellate di CO2 catturate ogni anno. Una previsione che comporta una buona dose di ottimismo, perché dà per scontato che tutti i progetti funzionino alla perfezione, compresi quelli che sono ancora a uno stadio embrionale.
«Per funzionare, la DAC avrà bisogno della propria energia a basse emissioni e di adeguati siti di stoccaggio. Il costo varia dai 600 ai mille dollari a tonnellata», fa notare Andrew Reid, analista dell’Institute for Energy Economics and Financial Analysis. «Oltre ai costi elevati, c’è anche un punto interrogativo sull’efficacia delle tecnologie di cattura della CO2 in generale. La maggior parte dei progetti fino ad oggi è relegato a dimostrazioni su piccola scala che, generalmente, hanno ottenuto performance peggiori rispetto ai valori attesi».
I punti di domanda sui sistemi di cattura e stoccaggio della CO2 (CCS)
Sono a uno stadio leggermente più avanzato i sistemi di cattura e stoccaggio della CO2 (CCS). Gli impianti commerciali attivi nel mondo sono una quarantina e catturano circa 45 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, lo 0,12% delle emissioni del 2022 legate all’energia. Ma, sottolinea il think tank Ecco, i dati che abbiamo a disposizione sui tassi di cattura sono teorici. Difficilmente gli impianti pubblicano i numeri reali.
In compenso, sappiamo che i costi d’investimento variano tra i 124 e i 317 euro per tonnellata di CO2, mentre quelli operativi si attestano sui 120 euro a tonnellata. Uno studio dell’università di Oxford è molto chiaro in merito. Ipotizziamo di riuscire davvero ad azzerare le emissioni nette a livello globale entro il 2050. Farlo puntando sulle rinnovabili, sull’efficienza energetica e sull’elettrificazione significa risparmiare almeno 30mila miliardi di dollari rispetto ad affidarsi sui sistemi di cattura e stoccaggio della CO2. Poi ci sono rischi che conosciamo solo in parte, legati per esempio alla costruzione di pozzi sottomarini per la CO2 (la Norvegia è in prima linea).
L’Agenzia internazionale dell’energia e il Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici (Ipcc) concordano sul fatto che lo sviluppo di queste tecnologie avverrà soprattutto dal 2050 in poi. L’Unione europea, invece, ci scommette adesso. Addirittura, dà la facoltà a ogni Stato di decidere quali tecnologie sono “strategiche per il net zero” e meritano dunque di ricevere finanziamenti pubblici. Così facendo, mette sistemi affidabili e consolidati (come l’energia eolica e solare) sullo stesso piano di quelli ancora pionieristici, costosi e dagli esiti incerti.
Il CCS rischia di diventare una scusa per continuare coi combustibili fossili
«Con questo accordo finale, il Parlamento europeo e il Consiglio hanno perso il focus sulla sostenibilità ambientale per affidarsi a un incantesimo», tuona Camille Maury, Senior Policy Officer presso il WWF. Stando alla nota del WWF, i legislatori europei avrebbero dovuto limitare lo sviluppo dei sistemi di cattura e stoccaggio della CO2 soltanto ad alcuni specifici settori in cui non c’è nessun altro modo per abbattere le emissioni. «Il CCS non deve essere usato come scusa per continuare a usare i combustibili fossili e chiaramente non è una formula magica per affrontare tutte le emissioni industriali, in particolare prima del 2030».
Durissimo anche il comunicato di Real Zero Europe, coalizione che riunisce 140 organizzazioni ambientaliste: «Il nuovo piano della Commissione europea per la cosiddetta “gestione delle emissioni dell’industria” è una copertura per continuare a usare i combustibili fossili». Le tecnologie per la cattura, lo stoccaggio e l’uso della CO2, afferma la coalizione, «sono la via di fuga preferita dell’industria dei combustibili fossili verso l’inazione e il ritardo». Quelle per la cattura diretta di CO2 dall’aria o per la bioenergia con cattura e sequestro di CO2, da parte loro, sono «non ancora testate, estremamente costose e particolarmente distruttive su larga scala». In altre parole, distraggono dall’unica missione su cui bisognerebbe focalizzare tutte le energie: abbattere le emissioni, subito.