Compensare la CO2 emessa è un’illusione climatica

Il mercato dello scambio di quote di emissioni ci ha illusi che basti spendere pochi euro per dirsi “carbon neutral”. Ma la realtà è un'altra

Una manifestazione dei Fridays for future © Callum Shaw/Unsplash

Per più di dieci anni, il colosso bancario Credit Suisse ha dichiarato di essere “carbon neutral” in tutte le sue operazioni: ogni suo sfavillante ufficio, ogni volo di un proprio dirigente è stato controbilanciato in termini di emissioni, acquistando quote di CO2 da progetti sostenibili.

Ma questo è quanto la banca svizzera racconta a sé stessa, ai suoi clienti e al mondo intero: a leggere meglio i suoi rapporti di sostenibilità viene fuori una realtà ben diversa. In sostanza, le attività che Credit Suisse dice di aver comprato per bilanciare le emissioni di CO2 sono, in termini concreti, quasi del tutto inutili. 

Le compagnie acquistano crediti di CO2 per compensare il proprio inquinamento © Marek Piwnicki/Unsplash

Comprare quote di CO2 per compensare le emissioni: il “net-zero washing”

Ci troviamo di fronte a un tipico caso di carbon-neutral washing o net-zero washing. Non conta come lo etichettiamo: conta l’aumento vertiginoso di casi di questo genere. Le compensazioni sono state progettate per consentire alle aziende di pagare in cambio della rimozione di CO2 dai loro bilanci: per anni, i ricercatori hanno sollevato preoccupazioni sul fatto che queste transazioni stiano alleggerendo la coscienza di chi inquina. Senza effetti realmente benefici per il Pianeta.

Piuttosto che ridurre effettivamente le emissioni, dicono diversi esperti, queste compensazioni funzionano come una scappatoia contabile che, addirittura, permette di immettere ancor più gas serra in atmosfera.

Tutti vogliono le quote da impianti rinnovabili perché costano meno

Nel 2021, il mercato delle quote di CO2 è arrivato a valere circa 2 miliardi di dollari. Un’analisi di Bloomberg Green su oltre 215mila transazioni effettuate negli ultimi dieci anni rivela che decine di brand globali hanno seguito le orme di Credit Suisse. Le compagnie aeree, i rivenditori online, le aziende energetiche: tutti hanno fatto affidamento sulle compensazioni, in particolare su quelle appartenenti al settore dell’energia rinnovabile.

L’acquisto di crediti legati al sostegno di progetti solari o eolici suona bene per il clima, ma gli esperti considerano queste compensazioni in gran parte fasulle. Molte compensazioni rinnovabili sono nate proprio quando le fonti solare ed eolica si sono affermate come la fonte di energia più economica nella maggior parte dei Paesi. In altre parole, la vendita di compensazioni per piccole somme come modalità di sostegno alle rinnovabili non fornisce alcun vantaggio reale se già queste tecnologie risultano più economiche della costruzione di nuove centrali a carbone o gas.

Secondo Julio Friedmann, ricercatore presso la società di consulenza Carbon Direct e uno dei sei esperti che hanno esaminato i dati, «si tratta di crediti di bassa qualità», cioè in parole povere «non evitano o riducono le emissioni di gas serra». 

Cosa hanno risposto le compagnie interrogate da Bloomberg © Bloomberg

Molte quote compensative giungono da progetti che non hanno bisogno di supporto

Oggi, l’intero mercato delle compensazioni è rappresentato al 40% da quote di rinnovabili. Ma le cose stanno cambiando: Credit Suisse afferma di essere tra quelle aziende che si stanno spostando verso l’acquisto di offset più rigorosi, come le tecnologie di cattura e sequestro di CO2 dall’atmosfera, i cui risultati però sono messi in discussione dalla comunità scientifica.

Oppure, prendiamo il caso di Delta Air Lines, che effettua più di quattromilas voli al giorno: la compagnia aerea americana ha dichiarato per oltre due anni di essere carbon neutral. Ciò significa che ha spazzato via dai propri conti milioni di tonnellate di CO2 prodotte dal carburante bruciato dai propri velivoli, compensando con altri progetti sostenibili. E naturalmente ha sfruttato questa scelta come strategia comunicativa per diffondere messaggi pubblicitari rivolti ai viaggiatori “alleggerendo” i loro sensi di colpa. Dall’analisi di Bloomberg si evince che una delle più grandi fonti di compensazioni di Delta Air Lines è stata il parco eolico Los Cocos II nella Repubblica Dominicana, che quasi certamente non aveva bisogno di ulteriore supporto.

Quanto costa compensare le proprie emissioni

C’è inoltre poca trasparenza su quanto gli acquirenti paghino per le compensazioni: Bloomberg parla di 2 dollari per tonnellata nel caso di compensazioni da rinnovabili, mentre una quota media per compensare la deforestazione ne costa 6. Una quota di cattura e rimozione di CO2 vale molto di più: quelle di Climeworks, società con sede in Islanda, costano 600 dollari l’una. 

È chiaro che raggiungere la neutralità climatica attraverso le proprie forze piuttosto che acquistare quote di compensazione sia ben diverso. L’americana Boeing e la compagnia petrolifera Eni hanno detto a Bloomberg che ridurranno il ricorso alle compensazioni per raggiungere i propri obiettivi climatici ma non è stato spiegato in quale misura.

Anche Banco Santander e Air France-KLM hanno affermato che stanno monitorando gli sviluppi del mercato delle compensazioni. Ma anche se alcuni di questi importanti acquirenti hanno pianificato di abbandonare o ridurre l’uso di compensazioni, le società di consulenza si aspettano che tale mercato sia comunque destinato a crescere, addirittura di 10 volte, poiché sempre più aziende fissano obiettivi climatici e adottano i modi più economici per raggiungere tali obiettivi.

Si tratta di un’irresistibile bacchetta magica: per parlare di neutralità climatica e sostenibilità ambientale, basta spendere pochi dollari in quote di compensazione e continuare a fare come si è sempre fatto. Almeno fino a quando la Terra non ci chiederà di pagare il vero conto, senza sconti.