I cervelli spariti nel decreto Crescita
Anziché attrarre celebri ricercatori, il decreto Crescita ha aiutato soprattutto calciatori milionari sbarcati in Italia per risparmiare tasse
La sparizione dei cervelli. L’arrivo dei calciatori. Questa è stata la politica economica del Paese negli ultimi anni. Nel decennio prima della pandemia i fondi alla ricerca sono diminuiti di oltre il 20%. Con la pandemia sono arrivati i vari piani di ricovero, ma anche qui alla ricerca sono state destinate briciole. Non solo, sotto la dicitura “istruzione e ricerca” spesso si sono regalati soldi ai “palazzinari” per costruire dormitori studenteschi. Nel frattempo, però, si sono aiutate tantissimo le squadre di calcio. Almeno a livello di bilanci.
L’articolo 5 del decreto Crescita pubblicato da Giuseppe Conte nell’aprile 2019, quando ancora il Movimento 5 stelle era filo-leghista, era stato pomposamente battezzato “rientro dei cervelli”. E andando a incidere su precedenti leggi, in buona sostanza, permetteva alle aziende di pagare le tasse solo sul 50% degli stipendi su lavoratori stranieri che non avevano vissuto e pagato contributi in Italia nei due anni precedenti. Ovviamente di cervelli ne sono rientrati pochi, ma è arrivata invece un’infornata di vecchie e strapagate cariatidi o di giovani e sconosciuti dilettanti del pallone.
Non risultano infatti atterrati nel nostro Paese aerei carichi di scienziati di fama mondiale, di certo però sono arrivati i vari Ibrahimovic, Ribéry, Mikhytarian, Lukaku e via dicendo. Sui cui stipendi milionari e privilegiati le società di calcio hanno risparmiato dei bei milioncini. Questo ovviamente ha fatto malissimo al sistema calcio, per vari motivi. Innanzitutto perché ha spinto i club a comprare appunto stranieri su cui risparmiare le tasse, al posto di giovani italiani su cui investire. Tanto che a giugno scorso un emendamento del Partito democrativo alla legge ha stabilito un minimo di età e di stipendio, 20 anni e minimo un milione, che altrimenti la Serie B e la Serie C sarebbero diventati il dorato paradiso degli scarponi stranieri.
L’emendamento certifica però che, dopo tre anni, nessuno fa nemmeno più finta che gli aiuti fiscali del decreto Crescita, il pomposo “rientro dei cervelli”, riguardino la ricerca. Sono invece un favore – chiaro e reiterato – alle società di calcio e ai cervelli dei loro dirigenti. O meglio ai loro conti in banca. Detto ciò, il decreto è pessimo anche perché permette alle società, che già vivono di debiti e plusvalenze, di fare ulteriori operazioni cosmetiche a bilancio.
Ma non è finita qui, perché tutti questi soldi risparmiati – e si calcola che solo nei primi due anni di attività del decreto siano stati ben oltre cento milioni – non solo non sono soldi che vengono investiti dalle società sullo sviluppo del gioco, ma sono sottratti all’erario da dei milionari. A favore di altri milionari. E l’erario è quello con cui si dovrebbero costruire case, scuole, ospedali. È evidente che qui gli unici cervelli che devono rientrare sono quelli dei politici che hanno approvato, mantenuto, difeso ed emendato un decreto così assurdo e malvagio. Poi uno si chiede perché il Paese si butta a destra.