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Clima, braccio di ferro nell’Ue. E il governo Renzi…

In Europa aumenta il fronte dei critici (a vario titolo) verso il piano di riduzione delle emissioni entro il 2030. L'Italia assume una posizione prudente.

  All’interno dell’Unione europea si accavallano con crescente insistenza le voci di chi nutre dubbi sul piano di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra indicato per il 2030 . In prima linea, ormai da tempo, c’è la Polonia , che pone un vincolo procedurale: prima di fare la nostra parte, noi europei dovremmo aspettare di conoscere il valore dei contributi al riscaldamento globale di altre grande economie (Cina, Usa e Russia ).  

La Commissione di Bruxelles ha chiesto di diminuire il quantitativo di agenti inquinanti del 40%, rispetto ai livelli del 1990 (insieme ad un incremento al 27% dell’utilizzo di energie rinnovabili, e ad una riduzione dei consumi del 25%). Alla posizione critica di Varsavia, per ora, nessuno si è allineato. Tuttavia, altri Stati, tra cui l’Italia, la Lituania e l’Irlanda, hanno sollevato dubbi circa la fattibilità economica del piano europeo. Il nostro neo-ministro dell’Ambiente, Gianluca Galletti, ha dichiarato Roma continuerà ad appoggiare il piano Ue. Ma ha aggiunto che occorre tener conto delle capacità di finanziamento e di spesa dei Paesi membri. Un colpo al cerchio e uno alla botte.

Sarebbe fin troppo facile ribattere al governo italiano che potremmo risparmiare su molti alti fronti (dalla TAV all’acquisto degli F35) e convogliare i capitali pubblici verso obiettivi certamente più vitali per la salute del Pianeta e delle future generazioni: a che serviranno gli aerei da guerra e una nuova linea ad alta velocità se nel frattempo la Terra sarà diventata invivibile?