«Occorre istituire un tribunale internazionale per il clima»

Intervista a Luca Saltalamacchia, avvocato che cura la causa contro lo Stato italiano per inazione sul clima, battezzata “Giudizio universale”

Luca Saltalamacchia, avvocato che cura l'azione legale sul clima contro lo Stato italiano, battezzata “Giudizio universale”

Dopo i Paesi Bassi, la Germania e la Francia, anche l’Italia sarà chiamata a difendersi di fronte ai giudici sulla questione climatica. In particolare, il governo dovrà rispondere dell’accusa di non aver agito in modo adeguato di fronte ad una crisi “esistenziale”. Il clima impazzito minaccia infatti l’avvenire delle future generazioni.

La citazione – nell’ambito della campagna battezzata Giudizio universale, sostenuta da un nutrito gruppo di associazioni e Ong, tra le quali come primo ricorrente A Sud Onlus -sarà depositata in tribunale oggi, sabato 5 giugno 2021. A curare l’azione legale è l’avvocato Luca Saltalamacchia, che ha lavorato, in passato, con associazioni come Friends of the Earth o Re:Common. Occupandosi anche di diritti umani e di vicende che hanno riguardato colossi come Unicredit, Eni e Enel.

La necessità di imporre anche per via giudiziaria il rispetto degli impegni climatici si sta affermando negli ultimi anni. Esiste un quadro giuridico di riferimento sufficiente nelle nazioni, oppure alcuni ordinamenti sono ancora indietro nel diritto ambientale?

Tutte le norme sui cambiamenti climatici hanno natura internazionale, e sono state ratificate dalla quasi totalità degli Stati. Sono dunque entrate negli ordinamenti di tutto il mondo. Il problema non è tanto il quadro giuridico, quanto piuttosto la volontà di rispettare le norme esistenti. Peraltro, le normative internazionali sul clima fanno costante riferimento alle acquisizioni scientifiche. Per cui per rispettarle “basterebbe” (le virgolette sono d’obbligo) ascoltare quello che gli scienziati ripetono da decenni.

«Per rispettare le norme internazionali sul clima basterebbe seguire ciò che la scienza ci ripete ormai da decenni»

Quali sono a suo avviso i casi più importanti a livello internazionale e perché?

Certamente il caso Urgenda nei Paesi Bassi, che ha aperto la strada ai contenziosi climatici contro gli Stati, deciso dalla Corte Suprema in favore dei ricorrenti. Ma anche il recente caso Neubauer in Germania, deciso dalla Corte Costituzionale tedesca con l’annullamento della legge sul clima, che – secondo la Corte stessa – presenta degli obiettivi di taglio delle emissioni troppo poco coraggiosi. Tali da costituire un «effetto di interferenza anticipata» sulle libertà individuali delle generazioni future.

Peraltro, la Corte ha affermato che «non si deve permettere alla generazione attuale di consumare grandi porzioni del bilancio di CO2, sostenendo così uno sforzo minimo di riduzione, se ciò comporta di dover lasciare alle generazioni successive un drastico onere di riduzione. Esponendo le loro vite a perdite globali delle libertà fondamentali».

Una manifestazione per il clima
Una manifestazione per il clima del movimento Fridays for Future © Pixabay

Cosa chiedete allo Stato italiano sul clima?

Il giudizio non avrà alcun contenuto risarcitorio. Chiederemo al giudice di ordinare allo Stato di ridurre le emissioni di gas ad effetto serra ad un livello che sia compatibile con il raggiungimento dei target fissati dall’Accordo di Parigi. Ovvero mantenere la crescita della temperatura media globale «ben al di sotto dei 2 gradi centigradi». E preferibilmente «a +1,5 gradi» rispetto all’era pre-industriale. L’attuale obiettivo di riduzione dello Stato italiano è decisamente inadeguato. Si punta infatti a tagliare le emissioni del 36% rispetto ai livelli del 1990, entro il 2030. Chiederemo al giudice di ordinare allo Stato di fare molto di più. Più del doppio.

«L’attuale obiettivo di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra dell’Italia è decisamente inadeguato»

Quante possibilità a suo avviso ci sono di imporre davvero un cambiamento di rotta?

La giustizia climatica in tutto il mondo sta obbligando lentamente Stati ed imprese a migliorare i propri sforzi di contenimento delle emissioni di gas ad effetto serra. Le recenti vittorie in Olanda, Francia, Irlanda e Germania contro gli Stati hanno obbligato i rispettivi governi a rivedere i piani e le leggi climatiche. Qualche settimana fa in Olanda una impresa privata (la Shell) è stata condannata a tagliare le emissioni del 45%, entro il 2030, per allineare il proprio piano industriale ai target fissati dall’Accordo di Parigi.

Un governo non potrebbe eccepire che suo compito è rispondere al Parlamento e non alla giustizia?

Noi citiamo lo Stato. In uno Stato di diritto lo Stato è soggetto alla legge. In questo caso, lo Stato italiano ha precisi obblighi e doveri; se li viola, la sede per far valere la sua condotta illecita è quella giudiziaria.

«Non è scontato che alcune norme dell’Accordo di Parigi non siano vincolanti»

Documenti come l’Accordo di Parigi di fatto non sono vincolanti per gli Stati che li ratificano: non esiste un tribunale competente a livello internazionale né esistono clausole sanzionatorie. Occorrerebbe a suo avviso creare un tribunale internazionale per il clima?

Chi lo ha detto che non sono vincolanti? Il discorso è molto complesso, ma non è affatto scontato che alcune norme dell’Accordo di Parigi non siano vincolanti. Esse interagiscono con le norme degli ordinamenti statali ed in molti casi “colorano” e riempiono di significato le norme interne, creando dei veri e propri obblighi. Detto questo, in ogni caso l’istituzione di un tribunale internazionale per il clima, come sezione specializzata di un tribunale internazionale per la tutela dell’ambiente, è assolutamente necessaria.