Colpo di scena. Generali abbandona il carbone
La compagnia ha annunciato che non fornirà più coperture assicurative per la costruzione di nuove centrali a carbone
La notizia è di quelle piacevolmente sorprendenti: le assicurazioni Generali hanno seriamente iniziato ad abbandonare il business del carbone. Certo, ci sono voluti due anni di campagna di pressione condotta da Greenpeace e Re:Common, promotrici di azioni e appelli pubblici e protagoniste di accalorati interventi all’assemblea degli azionisti della società, ma il risultato è senza dubbio di portata storica.
Greenpeace all’ultima assemblea degli azionisti Generali
Generali è il primo grande player finanziario italiano a prendere una decisione del genere. Una svolta importante, specialmente perché in Italia il tema del riscaldamento globale è stato spesso relegato in secondo piano. Non a caso il recente allarme lanciato dagli esperti delle Nazioni Unite – “abbiamo 12 anni per salvare il Pianeta” – non ha suscitato l’attenzione che avrebbe giustamente meritato.
Una decisione storica
Nell’aggiornamento della sua “Strategia sui cambiamenti climatici“, il Leone di Trieste ha infatti introdotto un piano operativo che punta a ridurre in maniera significativa la sua esposizione verso il più inquinante tra i combustibili fossili, in fase di dismissione in vari paesi del Vecchio Continente. Il Belgio ha già fermato le centrali a carbone nel 2016. Italia, Francia, Finlandia, Portogallo, Irlanda, Austria, Svezia e Danimarca le chiuderanno entro il 2025, l’Olanda nel 2030. La Gran Bretagna, prima e dopo la Brexit, ha confermato la volontà di rinunciare al carbone entro il 2025.
Entrando nel dettaglio, Generali ha ufficializzato che non fornirà più coperture assicurative per la costruzione di nuove centrali a carbone, senza alcun tipo di eccezione, e che non accetterà come nuovi clienti società attive nel comparto carbonifero.
Dal lato investimenti, Generali si libererà completamente delle sue partecipazioni azionarie nel settore del carbone entro l’aprile del 2019 e progressivamente anche di quelle obbligazionarie, portandole a scadenza e addirittura valutando la possibilità di dismetterle anticipatamente.
La decisione della più importante compagnia assicurativa italiana segue a distanza di poco più di otto mesi la prima stesura della “Strategia sui cambiamenti climatici”, che però lasciava molto a desiderare, perché interveniva solamente sull’ambito investimenti e non su quello assicurativo.
Il lavoro di Greenpeace e Re:Common, “sostenuto” dagli attivisti che in questo lasso di tempo hanno partecipato ad azioni in varie località italiane, ha quindi convinto Generali a fare un importante passo in avanti sul tema della tutela ambientale.
Generali finanzia il carbone polacco
Fronti aperti
Rimangono, come già accennato, ancora delle ultime “pendenze”, ovvero le partecipazioni in compagnie che dipendono fortemente del carbone. Ma anche in questo caso c’è da essere ottimisti. Per quanto riguarda l’utility polacca PGE, ma anche la ceca CEZ, il Leone di Trieste ha reso noto di avere iniziato un “protocollo di ingaggio”, la cui prima fase terminerà ad inizio 2019. Se entro allora queste due società non avranno presentato dei piani di transizione credibili, le “relazioni pericolose” con queste aziende saranno tranciate di netto.
È alquanto improbabile che la PGE, la principale compagnia energetica polacca, si possa ravvedere, dal momento che ha in programma di aumentare di 5 gigawatt la produzione legata al carbone. Tanto per fare un esempio, l’impianto di Opole, che già emette 5,8 milioni di tonnellate di CO2 l’anno, passerà così da 1.532 a oltre 3.000 megawatt di potenza. Altri 5 gigawatt saranno sviluppati da altre aziende locali. Ammonta invece a 2,2 miliardi di tonnellate il totale della lignite che sarà estratta da nuove miniere a cielo aperto. A fronte di uno stop definitivo per il carbone che l’Unione europea vorrebbe decretare entro il 2030, c’è il rischio che con la sua espansione la miniera di Turów, fin qui assicurata da Generali, possa rimanere operativa almeno fino al 2044. Un provvedimento ormai considerato intollerabile non solo dagli ambientalisti.