I conti nascosti del sistema cibo: vale 8mila miliardi di dollari, ma ne costa (almeno) 6mila
La Banca Mondiale: se si sottraessero tutti i costi ambientali, sociali e sanitari, il valore economico del sistema alimentare va sottozero. Indispensabile riorganizzarlo
La Banca mondiale fa i conti al sistema globale del cibo, e non sono buoni. Si tratta di un calcolo economico, ma non solo. Perché la stima del valore complessivo rispetto a quali sono effettivamente i costi per la collettività tiene conto delle criticità della produzione alimentare, ma aggiunge le questioni ambientali, soprattutto viste in prospettiva, pensando alle generazioni future. La differenza finale? È (o meglio: dovrebbe essere) di segno positivo.Il condizionale è d’obbligo perché i coni d’ombra non mancano. In ogni caso c’è di che preoccuparsi.
«Il sistema alimentare globale, come attualmente organizzato, non è adatto allo scopo»: non poteva usare parole più chiare il direttore della divisione Agriculture Global Practice della Banca Mondiale, Martien Von Nieuwkoop. Parole che danno sostanza alle fredde cifre che, da un lato calcolano il valore del sistema alimentare e dall’altro, però, sottraggono esternalità, costi ambientali e sanitari.
Gravi nodi vengono al pettine
Per carità, nella sua analisi Von Nieuwkoop sottolinea che «il sistema alimentare ha funzionato bene nel produrre cibo sufficiente per superare la crescita della popolazione, abbattendo il prezzo reale del cibo per renderlo più accessibile ai poveri e ridurre la fame e la povertà nel mondo». Ma sembra un passaggio scritto per addolcire un’analisi amara, confermata dai numeri. Anche perché alcuni gravi nodi, complice la crisi climatica e le trasformazioni che avanzano nelle regioni meno sviluppate, in Africa, Asia e parti dell’America Latina, stanno venendo al pettine.
In ogni caso, i suoi calcoli fanno riflettere: il valore medio finale del sistema alimentare globale si attesterebbe intorno agli «8milia miliardi di dollari, ovvero il 10% dell’economia globale da 80mila miliardi di dollari». La cifra è desunta aggiungendo al valore del mero sistema agricolo primario (che racchiude tutte le fasi della produzione: coltivazione, allevamento, pesca) il successivo contributo dell’industria alimentare, che si aggira tra le 2 e le 5 volte in più del valore della produzione agricola stessa.
Negli Stati industrializzati, tale contributo è più alto: «Negli Stati Uniti, per ogni dollaro speso in cibo dai consumatori americani, appena 11 centesimi sono conteggiate nelle attività agricole mentre il resto è legato alle successive fasi della filiera, dalla trasformazione alla consegna alla ristorazione collettiva». Discorso analogo nel Regno Unito, dove l’agricoltura conta appena il 10% del valore del sistema cibo. D’altro canto però nei Paesi meno avanzati, questo contributo aggiuntivo dell’industria alimentare rispetto a quello agricolo è inferiore. Da lì, la stima della World Bank.
Costose esternalità
Fin qui i segni “+”. Ma il discorso si fa scabroso quando l’analisi inizia a sottrarre le voci negative. Numerosi i fattori considerati: i costi della malnutrizione che colpisce 2 miliardi di persone e per contro dell’obesità che coinvolge altri 2 miliardi di individui, le perdite e gli sprechi della filiera agricola, i danni derivanti dall’insicurezza alimentare e dal depauperamento degli ecosistemi, le emissioni di CO2 legate al sistema agricolo. Totale: oltre 6mila miliardi di dollari.
Il contributo positivo del sistema cibo globale quindi, secondo la Banca Mondiale, non supererebbe i 2mila miliardi di dollari. Ma alle “esternalità” mancano capitoli importanti, non considerati perché di più difficile quantificazione economica: dalla perdita di biodiversità, ai costi sanitari legati all’uso di pesticidi e fitofarmaci, ai costi economici causati dall’antibiotico-resistenza fino ai danni causati dall’inquinamento delle risorse idriche. Voci affatto marginali. Tanto da far domandare al funzionario della World Bank «I costi del sistema cibo superano il suo valore monetario?».
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I costi quantificati nella sua analisi in effetti, già presi per difetto, corrispondono al 7% del Pil mondiale: «un conto che è semplicemente troppo alto» denuncia Von Nieuwkoop, anche perché è alimentato da un volume enorme di risorse finanziarie pubbliche ai produttori agricoli, stimato in quasi 500 milioni di dollari l’anno.
Il discorso tocca da vicino il continente europeo: la Ue è infatti nel pieno dei negoziati per la prossima Politica agricola comunitaria (Pac 2021-2027), che porterà presumibilmente a compimento il neo commissario all’Agricoltura, il polacco Janusz Wojciechowski (non esattamente ua garanzia: la sua audizione davanti alla commissione competente dell’Europarlamento martedi scorso è andata malissimo. Il commissario in pectore si è dimostrato talmente incompetente sul portafoglio che dovrebbe assumere da aver spinto i parlamentari a chiedere una seconda audizione, per decidere se approvare o meno la nomina). Proprio Von Nieuwkoop, in un suo articolo dell’ottobre 2018 che citava i rapporto SR15 sul clima dell’IPCC, indicava l’urgenza di una ricalibrazione dei finanziamenti in ottica ambientale.
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Un’accusa anche alle erogazioni della Banca Mondiale
Il funzionario della Banca mondiale ricorda infatti che fino a 395 milioni di persone potrebbero essere esposte a rese inferiori in un mondo in cui la temperatura media crescesse di 2 °C. Ma già un riscaldamento di 1,5 °C entro il 2030 potrebbe ridurre del 40% le aree adatte alla produzione di mais utilizzando le varietà attuali nell’Africa sub-sahariana.
«È giunto il momento di analizzare la struttura di incentivazione fornita dalle attuali forme di sostegno dei produttori agricoli» spiegava. Un monito che guardava anche in casa propria: ben 200 miliardi di dollari di finanziamenti transitati dal budget della Banca mondiale ai produttori, e altri 284 miliardi di dollari di finanziamenti a supporto dei prezzi di mercato, forniscono sì incentivi agli agricoltori, senza pero migliorarne «la resilienza climatica né riducono le emissioni di gas a effetto serra provenienti dall’agricoltura».