Cop16 bis: in ballo i soldi per il Sud del mondo, custode della biodiversità

In corso a Roma i tempi supplementari della Cop16, dopo la sospensione dei negoziati in Colombia per mancanza di accordi, ovvero di soldi

I lavori della Cop16 bis in corso a Roma © Fao/Pier Paolo Cito

Nella sede della Fao, a Roma, sono cominciati i tempi supplementari della Cop16. La sedicesima Conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità che si era tenuta a Calì, in Colombia, lo scorso autunno. E che era stata sospesa da un giorno all’altro, ufficialmente per la mancanza del quorum minimo legale nelle votazioni. In realtà perché i negoziati erano in stallo e nessun accordo, nemmeno di facciata, era in vista. In buona sostanza, come sempre il problema sono i soldi. E come sempre lo scontro in atto è tra i Paesi del Sud del mondo e quelli del Nord.

I primi, che non solo accolgono il maggior tasso di biodiversità del Pianeta ma lo custodiscono anche, pretendono di ricevere quanto promesso per poterla tutelare. I secondi, il cui modello di sviluppo è il primo responsabile della crisi della biodiversità, tergiversano. Se a Calì i negoziati sono stati quindi interrotti, ora a Roma si prova a trovare una soluzione in tempi rapidissimi. La prosecuzione con altri mezzi della Cop16 si è infatti aperta martedì 25 febbraio e terminerà giovedì 27 in un’atmosfera che lascia presagire un nuovo stallo. Ma almeno questa volta il quorum c’è, essendo presenti oltre tre quarti dei delegati.

Cop16 bis, i Paesi del Sud del mondo chiedono che siano rispettati i patti

La nuova Cop16 si è quindi aperta come si era chiusa la vecchia Cop16. Gli Stati con una ricca biodiversità, ovvero quelli africani e i Brics, chiedono i soldi promessi. Attraverso un fondo finanziato dai Paesi sviluppati come previsto anche dal testo della Convenzione sulla diversità biologica del lontano 1992. O meglio, attraverso la creazione di un nuovo fondo, più accessibile e sotto la diretta autorità e controllo della Cop stessa.

Un nuovo fondo che comprenda, per esempio, anche una equa redistribuzione dei profitti derivanti dall’uso delle informazioni provenienti dal sequenziamento digitale delle risorse genetiche. Risorse a lungo sfruttate dai Paesi del Nord senza alcuna condivisione con quelli da cui queste risorse sono prelevate. I Paesi del Nord, in particolare il Canada e l’Unione europea, si oppongono. Utilizzando come scusa problemi di bilancio interni, non hanno alcuna intenzione di rinunciare al loro nefasto modello di sviluppo. Né tantomeno di pagare alcun risarcimento per i danni fatti e da fare.

Nonostante tutti al termine della Cop15 avessero firmato il Quadro globale Kunming-Montreal, la road map che avrebbe garantito di proteggere la biodiversità dalla quale proviene la ricchezza – anche economica – del Pianeta. Nessuno ha poi fatto seguire alle parole i fatti. E i Paesi del Nord alla fine hanno investito nel vecchio fondo molto meno dei 20 miliardi di dollari promessi entro il 2025 per la tutela delle biodiversità. Una minima parte dei 200 miliardi promessi entro il 2030.

La proposta della creazione di un nuovo fondo, sotto il diretto controllo della Cop

Nel tentativo di superare questa situazione di stallo, la presidente della Cop16 e ex ministra dell’Ambiente colombiana (si è dimessa due settimane fa) Susana Muhamad è in prima linea a Roma nel cercare una soluzione di compromesso. È lei che ha proposto di avviare un processo di lavoro volto a creare, o adattare al vecchio, un nuovo fondo specificamente dedicato alla biodiversità. Entro il 2030, questo nuovo fondo verrebbe posto sotto l’egida della Cop, nell’interesse della trasparenza. Grazie anche a strumenti di monitoraggio più severi.

«Abbiamo una responsabilità importante qui a Roma. In questo 2025 possiamo lanciare un barlume di speranza e dire che, nonostante le nostre differenze, nonostante le tensioni, nonostante i limitati margini di bilancio nei Paesi del Nord come in quelli del Sud e nonostante i conflitti armati, possiamo dire che siamo ancora capaci di lavorare insieme per qualcosa che trascende i nostri interessi e ci unisce tutti: è la vita stessa», ha detto la presidente Susana Muhamad.

L’altro tema in ballo è la creazione di strumenti e indicatori comuni in base ai quali i vari Paesi possano basare le loro politiche nazionali per rallentare la scomparsa della vita sul pianeta Terra. Secondo quando detto alla radio francese da Juliette Landry, ricercatrice presso il think tank Iddri, in questo senso le cose stanno andando nella giusta direzione attraverso «l’integrazione di fonti degli attori che non sono gli Stati stessi, ma ong, scienziati e chi opera sul campo». Ma anche alla Cop16 bis a decidere, in ultima istanza, saranno sempre i Paesi del Nord.