Cop27, com’è andata la prima settimana di negoziati
Grande distanza (ma anche qualche luce) nelle prime bozze pubblicate al termine della prima settimana di lavori della Cop27
Si avvia al termine la prima settimana di negoziati alla Cop27 di Sharm el-Sheikh. E, senza sorpresa, il dialogo tra i governi delle quasi 200 nazioni presenti alla Conferenza appare teso e difficile. Come d’altra parte confermato anche da Wael Aboulmagd, che per conto del governo del Cairo è responsabile del coordinamento dei negoziati. Il diplomatico ha definito questi ultimi «complessi».
Mitigazione dei cambiamenti climatici: uno dei nodi centrali dei negoziati divide ancora il mondo
A confermarlo sono i primi testi (draft, bozze in italiano) pubblicati dai vari gruppi di lavoro presenti nella località balneare africana. Uno dei più importanti è quello pubblicato dal Subsidiary Body for Scientific and Technological Advice (SBSTA) e dal Subsidiary Body for Implementation (SBI) e che è dedicato alla mitigazione dei cambiamenti climatici. Ovvero a ciò che possiamo (ancora, per ora) fare per rallentare la crescita della temperatura media globale e limitarne la crescita.
Ebbene, il documento mostra chiaramente quanto ampio sia ancora il dissenso tra i governi. A rappresentarlo, anche graficamente, è la quantità di parentesi quadre ancora presenti, ovvero le porzioni di testo sulle quali non c’è accordo. Esse sono ben 310. Che in un testo di 9 pagine significa 34 a pagina. Il che, su un argomento centrale come quello della mitigazione, appunto, non lascia ben sperare.
La bozza di accordo sul mercato delle quote di emissioni di CO2
Un altro testo di particolare importanza è quello legato all’articolo 6 dell’Accordo di Parigi. Quest’ultimo chiede di introdurre un nuovo meccanismo per lo scambio delle quote di emissioni di CO2 (i cosiddetti carbon credit). Dal 2015 ad oggi si sta cercando di stabilire l’insieme di regole che lo governeranno. Il sistema è stato immaginato con l’obiettivo di fissare un tetto massimo alle emissioni di gas ad effetto serra. Le aziende e le industrie che, per le loro attività, ne disperdono nell’atmosfera possono acquistare tali “carbon credit” (o “quote di emissione”). In sostanza, dei diritti ad inquinare: una quota corrisponde all’autorizzazione ad emettere una certo quantitativo equivalente di CO2.
Dopo anni di stallo, alla Cop26 di Glasgow sono stati stabiliti alcuni paletti. Primo fra tutti, la distinzione di due tipi di mercati: quello destinato a imprese e Stati, e quello destinato agli scambi bilaterali tra nazioni. Si era scongiurato poi il rischio di double counting. Sistema per il quale se un Paese vende un carbon credit ad un altro Stato, o a un’azienda, uno solo tra i due potrà considerarlo nei propri obiettivi di abbattimento delle emissioni.
A Glasgow era stato poi raggiunto un accordo sui meccanismi “non di mercato”. Immaginati per agevolare la cooperazione diretta tra Stati, sia sul tema della mitigazione che si quello dell’adattamento ai cambiamenti climatici. Proprio su questo punto si è concentrato uno dei gruppi di lavoro dell’SBSTA. E anche in questo caso la prima bozza presenta una notevole quantità di punti sui quali non c’è accordo tra le parti.
Un primo passo sulle azioni necessarie per centrare l’obiettivo degli 1,5 gradi
Una buona notizia (a patto che il passaggio non venga modificato: i negoziati sono ancora lunghi) è giunta da un terzo documento. Ovvero dalla bozza sulla revisione degli obiettivi di lungo termine. Al punto numero 6 (e senza parentesi quadre) si legge che le parti «sono in accordo» sul fatto che, al fine di limitare la crescita della temperatura media globale ad un massimo di 1,5 gradi centigradi, rispetto ai livelli pre-industriali, «sono necessarie azioni urgenti in tutti i settori e che coprono tutte le emissioni di gas ad effetto serra». Ciò al fine di «assicurare che si raggiunga un picco delle emissioni entro il 2025».
Il testo aggiunge quindi che è necessario «dimezzare entro il 2030 le emissioni rispetto ai livelli del 2010». E azzerare le emissioni nette di CO2 «attorno al 2050». Dicitura, quest’ultima, che risulta però anodina e meno perentoria di «entro il 2050».
«Allarme e massima preoccupazione per la soglia degli 1,1 gradi centigradi già raggiunta»
Al punto 5, inoltre, si esprime «allarme e la massima preoccupazione sul fatto che le attività umane abbiano già causato una crescita della temperatura media di 1,1 gradi centigradi ad oggi». E che «gli impatti sono già avvertiti in ogni regione e aumenteranno proporzionalmente all’aumento del riscaldamento globale».
Nel testo, infine, si «riconosce» che, rimanendo al di sotto o poco al di sopra degli 1,5 gradi, «gli impatti peggiori dei cambiamenti climatici potranno essere evitati».
Si tratta, in ogni caso, di un punto di partenza potenzialmente positivo. Occorrerà tuttavia verificare in che modo i negoziati proseguiranno nella seconda settimana. Quella più “politica” nella quale i tecnici lasceranno via via la parola ai rappresentanti dei governi.