Alla Cop29 quasi 1.800 lobbisti del settore fossile
I lobbisti delle imprese fossili affollano la Cop29. Secondo un report, 1.773 i rappresentanti di oil&gas presenti a Baku
1.773 lobbisti di carbone, petrolio e gas: questo il numero delle presenze di rappresentanti fossili alla Cop29 denunciato dal report della coalizione di ong Kick Big Polluters Out (KBPO). La voce dell’oil&gas grida più forte di quella di quasi qualunque Stato: i rappresentanti delle lobby superano quelle di ogni altra delegazione a eccezione di Azerbaigian, che la Conferenza la ospita, Brasile, che sarà sede di quella del prossimo anno, e Turchia. Dei quasi 1.800 individuati da KBPO, il Guardian ha rivelato che 132 sono stati invitati direttamente dal Paese ospitante. In 480 si occupano di tecnologie CCS. Cinque in più rispetto allo scorso anno, a fronte di un numero inferiore di presenze complessive alla Conferenza.
Presenti anche lobbisti italiani. «Ancora una volta – ha dichiarato Elena Gerebizza di ReCommon, che fa parte della coalizione KBPO – la lobby fossile, con i campioni nazionali di Eni e Snam in prima fila, guarda alla
COP come un’occasione per fare affari e per promuovere le proprie false soluzioni alla crisi climatica, CCS e idrogeno in primis. La massiccia presenza a Baku è uno scandalo a cui bisogna porre fine, ‘liberando’ dalla presenza di lobbisti fossili i negoziati per il clima»
Lobbisti ovunque
Arrivano da tutte le parti. A volte dalle associazioni di categoria fossili. 43 i rappresentanti di imprese del petrolio come TotalEnergies e Glencore portate dall’Associazione internazionale per lo scambio di quote di emissioni. In alcuni casi fanno parte delle delegazioni nazionali. Il Regno Unito ne ha inclusi venti. Il Giappone si è fatto accompagnare dal rappresentante del gigante del carbone Somitomo. Il Canada non ha disdegnato la compagnia dei membri di Suncor e Tourmaline.
Ma c’è dell’altro. Il report di KBPO riferisce che 39 dei lobbisti presenti alla Cop29, portati da big del petrolio come Chevron, ExxonMobil, BP, Shell ed Eni, sono tra i fornitori di petrolio a Israele e quindi, secondo le ong, «legati al genocidio in Palestina».
Giustizia climatica da nessuna parte
Che la Cop29 fosse l’ennesima occasione di Big Oil per fare affari è stato già chiaro quando, a pochi giorni dall’inizio della Conferenza, era stata diffusa una registrazione in cui il vice ministro dell’Energia dell’Azerbaigian, capo esecutivo della Cop, si dichiarava propenso a fare dei colloqui la sede di accordi sul petrolio. Le presenze di questi giorni confermano pienamente l’impressione: 1.773 i lobbisti fossili alla Conferenza. Un numero altissimo, considerando che i rappresentanti delle 10 nazioni più vulnerabili alla crisi climatica sono appena 1.033.
Da anni le ong chiedono di impedire alle imprese fossili di mettere piede alle Cop. Per fare chiarezza sulla loro presenza pervasiva, l’anno scorso é stata approvata una norma che chiede ai partecipanti di rivelare le proprie affiliazioni. Fino a quel momento potevano essere taciute.
Anche l’Italia fa la sua parte
ReCommon, membro della coalizione Kick Big Polluters Out (KBPO), denuncia l’ingerenza dei lobbisti del fossile anche nella delegazione italiana. Partecipano infatti, si legge in una nota, esponenti di Eni, Italgas, Edison e Confindustria. Come spiega l’organizzazione, la presenza di Eni sono quelle del Senior Vice President Marco Piredda e del Direttore Public Affairs Lapo Pistelli, che riveste il ruolo di Chairman del Mediteranean Energy and Climate Organisation (OMEC), associazione di categoria partecipata anche da Snam e altre compagnie fossili.
La delegazione più folta, tuttavia, fa capo a Italgas (8 membri), controllata da Cassa Depositi e Prestiti e partecipata di Snam. «Non a caso – spiega ReCommon – a margine dei primi giorni di negoziato Italgas ha siglato un
accordo commerciale con l’azera Socar». Daniele Bianchi partecipa come presidente di Confindustria, mentre quattro rappresentanti portano a Baku Edison. La stessa che, spiega il comunicato, «Acquista il gas proveniente dai giacimenti di Shah Deniz II, poi veicolato in Italia
attraverso il gasdotto TAP».
I numeri dello studio id KBPO riportano la presenza di 22 lobbisti nostrani ma, come illustra ReCommon, il totale dovrebbe arrivare a 25. Oltre ai non ancora menzionati esponenti di Mediterranean Energy and Climate Organisation (OMEC), Seingim e Tokyo Group, mancano all’appello altre tre persone, presenti a Baku in quota Italia. Tutti provenienti da Snam, tutti registrati come affiliated advisor della Venice Sustainability Foundation. Obiettivo della fondazione è sviluppare un progetto di idrogeno blu, prodotto utilizzando gas, a Marghera. Sono Piero Ercoli, Vice President di Snam, Domenico Maggi, Head of EU Affairs, e Sergio Molisani, Chief of International Assets Officer.
Comunque peggio a Dubai
L’analisi mostra il potere pervasivo delle compagnie fossili ma, stando a i numeri, la presenza di lobbisti è calata rispetto allo scorso anno. Nella Cop28 di Dubai erano 2,456 a fronte di 85mila presenze: circa il 3%. A Baku, a fronte di 70mila accrediti registrati, i rappresentanti di imprese fossili sono l’1,5%.
Certo, ci sono anche i rappresentanti di altri settori che in ogni caso hanno impatti significativi sulla crisi climatica come l’agroalimentare e i trasporti. Presenze che, secondo le ong, hanno già inciso troppo negli accordi sul clima. Come sottolineato da Nnimmo Bassey della Health of Mother Earth Foundation «È tempo di dare priorità alle voci di coloro che lottano per la giustizia e lo sviluppo sostenibile – ha scritto in una nota – e non agli interessi degli inquinatori».
Anche in Italia sul tema è nata la campagna sul tema Clean the Cop! – fuori i grandi inquinatori dalle negoziazioni sul clima.