Oltre le Cop: tutti i negoziati sul clima che contano

Cosa succede fuori dalle Cop? Dai negoziati di Bonn ai summit politici globali, tutto il lavoro che prepara e influenza le conferenze sul clima

Antonio Piemontese
Antonio Piemontese
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I negoziati del clima non si esauriscono con la Cop: la conferenza delle parti organizzata dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (Unfccc). In una ipotetica visualizzazione a cerchi concentrici, la Cop costituisce il centro, il luogo, cioè, dove si prendono le decisioni. «This is a party-driven process», ricorda ogni tanto il presidente in plenaria. Per sottolineare che nulla è calato dall’alto. Per capirci: si tratta di una grande assemblea di condominio globale dove, attorno al tavolo, siedono oltre 190 Paesi, grandi e piccoli, ognuno con le proprie specificità e interessi, spesso in conflitto.

Come si prendono le decisioni alla Cop: il consensus

Formalmente, attorno al tavolo, tutti sono uguali. Non c’è differenza tra Stati Uniti, Cina, Afghanistan e San Marino. Le decisioni, però, non vengono prese contando i voti. Si utilizza una procedura – chiamata consensus per cui, più o meno, la mozione si intende approvata se nessuno si alza dalla sedia per protestare apertamente. Questo espone ovviamente a forzature: memorabile quella di Sultan Al Jaber, presidente della Cop28 di Dubai, che batté il martelletto della decisione più importante della conferenza a soli tre minuti dall’apertura, quando i rappresentanti di molti Paesi non erano nemmeno seduti.

L’intenzione era quella di evitare proteste da parte del Sud globale, trascurato nel testo: il magheggio riuscì. Il problema – nonostante i limiti – è che non si è ancora trovato di meglio: contare i voti esporrebbe il negoziato sul clima agli stessi incidenti parlamentari cui siamo abituati ad assistere, non solo in Italia. E, cosa più importante, non garantirebbe quell’universalità che è il vero marchio di fabbrica delle Cop. Una legittimazione morale che altrimenti andrebbe persa. 

I negoziati extra Cop

Nonostante l’importanza, le Cop non sono però gli unici negoziati sul clima. Sono il terminale, il luogo dove si prendono le decisioni. Ma esistono altre sedi dove gli Stati si incontrano per discutere le questioni legate al riscaldamento globale.  Vediamo quali sono, cominciando da quelli che rientrano nell’alveo della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (Unfccc). 

Road to Belém

Sessioni degli organi sussidiari: i negoziati preparativi

Chi segue le conferenze del clima avrà sentito parlare dei negoziati intermedi: si tengono ogni anno a Bonn, di solito tra maggio e giugno, e sono un altro cardine della concertazione globale in materia. E’ in questa occasione che si riuniscono i cosiddetti organi sussidiari. Un lavoro che viene approfondito durante la prima settimana delle Cop. L’importanza di queste sessioni risiede nel fatto che in questa sede vengono adottate delle conclusioni. Attenzione ai termini: conclusioni, non decisioni. Le sottigliezze, come noto, sono l’essenza del linguaggio diplomatico: e le decisioni, infatti, possono essere assunte solo dalle Conferenze delle parti (le Cop, appunto). Le conclusioni, però, rappresentano un punto di partenza di cui tenere conto

Le sessioni degli organi sussidiari sono fondamentali per garantire la base su cui costruire gli incontri ad alto livello. Si tratta di incontri che consentono di sgombrare il campo da buona parte degli aspetti troppo tecnici: temi pragmatici come le questioni relative all’implementazione delle decisioni, la trasparenza, i meccanismi come il mercato del carbonio, ma anche questioni finanziarie. In questo modo si semplifica il lavoro delle delegazioni ministeriali: cioè, della politica. In alcuni casi, in questo contesto,  possono formarsi dei working group creati ad hoc. Per esempio, l’Ad Hoc Working Group on Durban Platform

I negoziati non Ufccc: un modo per incontrarsi

Esiste poi un’altra serie di appuntamenti al di fuori del perimetro della Convenzione quadro (Unfccc). Si tratta di incontri informali, ma che rivestono un’importanza in termini di continuità e di attenzione mediatica e politica. La comunità globale del clima è ampia, ed è impensabile ridurre tutto ai grandi meeting annuali: a cui, peraltro, non sempre è facile partecipare dati i costi logistici. La Cop30 di Belem ne è un esempio. Così, nel tempo si sono create una serie di altre iniziative regionali che potremmo definire di supporto, in cui si discute, si coinvolgono altri attori. E soprattutto ci si incontra, ci si studia,  si stringono mani. Perché alla base di tutto ci sono le persone. C’è poco da dire: essersi già visti costituisce un vantaggio quando la tensione aumenta. 

Climate week: la cinghia di trasmissione tra le Cop e il territorio

Siamo ancora sotto l’ombrello della Unfccc. In questo caso non si può parlare tecnicamente di negoziato, ma di appuntamenti regionali che durano generalmente una settimana e sono pensati come cinghia di trasmissione tra le Cop e il territorio. I temi sono essenzialmente tecnici: finanza, mercato del carbonio, tecnologia, energia, Ndc. Nel 2025 ce ne sono state due: per esempio a Panama City (a maggio) e a Addis Abeba (Etiopia, a settembre). In alcuni anni ce ne sono di più: come il 2023 in cui sono state quattro. In altri possono anche essere assenti: come capitato nel 2024. 

La settimana è ricca di side event, che coinvolgono anche il settore privato, che da anni si sta cercando di inglobare nelle negoziazioni del clima. Si può affermare che ogni Climate week ha la propria evoluzione, il proprio taglio particolare, le proprie priorità, in virtù della connotazione marcatamente regionale. 

Il protocollo non è rigido come quello delle Cop: non vengono adottate conclusioni né decisioni. In sintesi, si può affermare che si tratta di eventi dal tono politico, che possono diventare molto importanti a livello locale, identificando i punti chiave fondamentali per una determinata area del globo. Importante anche l’opera di sensibilizzazione mediatica che consentono. A partecipare sono figure di una certa importanza, anche ministri, sempre in grado di attirare flash e riflettori. Le istanze che emergono qui hanno buone probabilità di essere portate alle Cop. Insomma, un’altra forma di lavoro preparatorio che consente di non disperdere lo slancio climatico.

Pre-Cop: il lavoro politico di preparazione alla Cop

La Pre-Cop  ha l’incarico di preparare i lavori per la conferenza del clima vera e propria. Anche se la Pre-Cop non fa parte dell’agenda negoziale, si tratta – comunque –  di riunioni ad alto livello. Si tiene di solito circa un mese prima della Cop. In questo caso non ci sono side-event: il tono è quello serioso della Cop.  L’attenzione mediatica è minore. A cosa serve, allora? In sostanza, in questa sede i ministri cercano di snocciolare alcune questioni chiave a livello politico, che – a quel punto si sa – saranno dirimenti alla Cop imminente. La presidenza, a conclusione, pubblica un summary, che ne rappresenta il documento finale. Questo testo non entra nel negoziato ufficiale della Unfccc. Ma è indubbio, spiegano gli addetti ai lavori, che se si raggiungono intese di massima a livello politico, la Cop che comincerà da lì a pochi giorni sarà in discesa. 

Le riunioni di G7, G20 e Brics in cui si discute di clima

Riprendendo la metafora del cerchio concentrico, in questo caso ci spostiamo di un altro livello verso l’esterno. Non ci troviamo più sotto l’ombrello della Unfccc, e di conseguenza l’input ai negoziati veri e propri è ancora meno diretto. G7, G20, Brics organizzano periodicamente riunioni ad alto livello non specificamente concentrate sul clima; può essere, però, presente una sessione dedicata al tema. L’Italia, che ha organizzato il G7 nel 2024, ha – per esempio –  previsto un G7 sul clima alla Reggia di Venaria, in Piemonte.

Può accadere (ma non è scontato) che alcune posizioni definite in queste occasioni vengano riportate alle Cop. Un esempio? Se i capi di Stato e di governo si mettono d’accordo su un obiettivo di finanza climatica in questa sede, spiegano i funzionari, non è certo possibile ignorarlo. A riprova, non sono mancati riferimenti a questi summit nelle cover decision, le decisioni finali delle Cop. Chiaramente, si tratta di club ristretti. E la mancanza di universalità ovviamente ne riduce la rappresentatività. Anche in questo caso, il formalismo è ridotto, distante anni luce da quello delle Cop. 

Climate summit: l’Assemblea generale delle Nazioni Unite

Ci troviamo nella settimana dell’Assemblea generale dell’Onu, il momento di sintesi annuale dell’organizzazione. Il Climate Summit è un momento di alto livello, dove si presentano obiettivi politici riguardo al clima. L’ultimo è stato il 22 setttembre: in quell’occasione, per esempio, la Cina ha presentato il proprio Ndc. 

Nonostante il prestigio dell’occasione, in termini di negoziati sul clima in questo caso ci troviamo allo stesso livello di G7 o G20.  L’appuntamento non fa parte del negoziato ufficiale, ma a volte vengono fatte affermazioni che possono avere rilevanza in sede negoziale. Un esempio recente viene ancora dalla Cina. Pechino non ha ancora inserito il proprio Ndc nel registro della Unfccc. Ma averlo annunciato al Climate Summit – e a farlo è stato il segretario del partito comunista Xi Jinping in persona – costituisce una forma di impegno difficile da ritrattare. 

Organizzazioni multilaterali: dove si plasma il dibattito delle Cop

Ci allontaniamo ancora di un passo dal cuore del negoziato ufficiale. La lista delle organizzazioni intergovernative che hanno momenti dedicati al clima è lunghissima – come le banche multilaterali per lo sviluppo, o la Fao –  e i temi vengono affrontati con modalità che variano dall’una all’altra. Si tratta di momenti estremamente verticali. Possono servire a esprimere un punto di vista che contribuisce a plasmare il dibattito. Per esempio, alla conferenza della Banca asiatica di sviluppo di Milano è apparso chiaro come, al di là di quello che appare sui media che la associano alla frontiera della tecnologia, in Asia la fame sia ancora un problema rilevante. E infatti le organizzazioni multilaterali sono sempre presenti alle Cop

Negoziazioni bilaterali: riunioni estemporanee dal potere considerevole

Esiste poi il filone delle negoziazioni bilaterali,  quelle tra Paese e Paese. Non è detto che questo tipo di negoziati siano pubblici, né che si traducano in intese scritte. Possono però servire a stabilire posizioni comuni da portare avanti alle Cop. Il quadro è troppo sbiadito per darne conto in questa sede, ma può essere utile sapere che alle Cop esistono delle salette riservate per le incontri bilaterali, dove è possibile parlarsi lontano da occhi indiscreti per sciogliere i principali nodi negoziali e sbloccare le impasse. Riunioni estemporanee, a volte su tavolini improvvisati, ma dal potere a volte considerevole. 

L’approccio bilaterale ha dei limiti. «L’Unione europea, per esempio, deve assumersi un ruolo guida nella diplomazia del clima e dell’energia», dice a Valori Chiara Martinelli, direttrice di Climate Action Network Europe, la più grande rete continentale di ong sul tema del cambiamento climatico. «Allo stesso tempo – prosegue – dobbiamo riconoscere i limiti del bilateralismo. I recenti accordi tra la Ue e gli Stati Uniti e quelli tra l’Unione e l’Indonesia non sono esempi di cooperazione internazionale sana. Rischiano di incentivare pratiche lontane dalla sostenibilità, violare i diritti umani e minare gli obiettivi climatici».

Le lobby: tra società civile e multinazionali dei combustibili fossili

Indispensabile, infine, un accenno alle lobby. Il lobbismo “buono”, cioè regolato e scoperto, è una delle modalità per portare le istanza della società (economica e civile) nei palazzi della politica. Purtroppo non sempre è così: e il clima non fa eccezione. In tutti i consessi sul riscaldamento globale si aggirano soggetti legati alle multinazionali dei combustibili fossili, spesso in incognito. Il fatto che da un paio d’anni sui badge delle Cop debba essere indicata l’affiliazione di chi lo porta al collo è una delle principali conquiste delle conferenze quanto a trasparenza.

Non basta, perché aver reso il processo inclusivo ha significato imbarcare attori opachi. Ma si tratta di un passo avanti. Come conclude Chaiara Martinelli, direttrice di Climate Action Network Europe: «Se la Unfcc rimane lo spazio più legittimo per la governance globale del clima, non c’è dubbio che deve essere rinforzato e reso più responsabile di fronte alle persone. Il che include rimuovere gli interessi del club delle fonti fossili dal processo decisionale». Trovare un equilibrio non è facile. 

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