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Coronavirus, il crollo dei posti di lavoro negli Stati Uniti di Donald Trump

Negli USA disoccupazione record (-15%). Anche Europa e Asia se la passano male ma con percentuali migliori. Nell'economia informale, 1,6 miliardi di lavoratori a rischio

Matteo Cavallito
Il tema lavoro è un serio grattacapo per Donald Trump. A sei mesi dalle presidenziali 2020 il tasso di disoccupazione USA ha raggiunto il 14,7%, il livello più alto del dopoguerra. Foto: Michael Valdon Attribution-ShareAlike 4.0 International (CC BY-SA 4.0)
Matteo Cavallito
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«You’re fired!». Sei licenziato. Donald Trump lo ha ripetuto in molte occasioni. In TV, innanzitutto, dove il tormentone ebbe origine; ma anche in campagna elettorale quando lanciava i suoi strali contro Barack Obama e Hillary Clinton per la gioia dei supporter repubblicani. Parole semplici, forti e dirette, come si conviene al re dei populisti. Ma anche un involontario e grottesco presagio di quanto sarebbe accaduto a qualche anno di distanza, cioè oggi, in un mercato del lavoro sull’orlo del collasso. Non si può prevedere se The Donald saprà conquistare a novembre l’opportunità di un secondo mandato. Quel che è certo, salvo miracoli, è che concluderà il primo in concomitanza con uno scomodo record: il più alto tasso di disoccupazione del dopoguerra.

«You’re fired!»Negli USA la disoccupazione sfiora il 15%

Ad aprile, la quota dei senza lavoro rilevata negli Stati Uniti ha raggiunto il 14,7%, un livello che non si vedeva dai tempi della Grande Depressione. Un’accelerazione senza precedenti che ha cancellato in un attimo o poco più circa 20,5 milioni di impieghi. «La velocità e l’ampiezza della perdita non ha eguali» scrive il Washington Post. «Si tratta di un tasso praticamente doppio rispetto a quello sperimentato dalla nazione durante l’intera crisi finanziaria del 2007-2009». Secondo gli analisti, prosegue il quotidiano, potrebbero volerci anni prima di riportare la percentuale dei disoccupati alla quota minima registrata a febbraio (3,5%).

Fonte: tradingeconomics.com

Secondo il Bureau of Labor Statistics USA, il settore leisure and hospitality – tutto ciò che attiene allo svago e al turismo – ha bruciato da solo 7,7 milioni di impieghi, oltre un terzo del totale registrato nel Paese. I posti di lavoro negli alberghi, ristoranti, cinema, teatri, musei et similia, in pratica, si sono dimezzati (-47%). Ma se la passa male anche il settore istruzione e servizi di cura (meno 2,5 milioni di posti di lavoro), così come i comparti servizi professionali (-2,2 milioni) e commercio al dettaglio (-2,1 milioni). La crisi, inoltre, colpisce la manifattura (-1,3 milioni) con il comparto automotive, nota l’agenzia statistica, nell’occhio del ciclone.

Stati Uniti, aprile 2020: i posti di lavoro persi per settore di impiego. Fonte: Bureau of Labor Statistics
Stati Uniti, aprile 2020: i posti di lavoro persi per settore di impiego. FONTE: Bureau of Labor Statistics

Europa: male. Ma non malissimo (per ora)

I dati americani sul lavoro fanno impressione, soprattutto nel confronto con l’Europa. Il Vecchio Continente se la passa male con i Paesi dell’Eurozona chiamati ad affrontare contrazioni impressionanti in termini di Pil. Spagna, Francia e Italia sono notoriamente nell’occhio del ciclone e neanche i vicini del Nord si sentono molto bene. Ma i livelli di disoccupazione restano decisamente più bassi se paragonati con l’altra sponda dell’Atlantico. Le statistiche sono ferme a marzo quando il tasso dei senza lavoro nei 27 Paesi dell’Unione viaggiava in media al 6,6%. Nelle scorse settimane la società di consulenza globale McKinsey ha stimato un picco prossimo venturo al 7,6% pur non escludendo una possibile salita a quota 11,2% nel 2021 con quasi 60 milioni di impieghi a rischio. Dati poco incoraggianti. Ma come si diceva c’è chi sta peggio.

Stiglitz: «Piano Trump disastroso»

Sul tema è intervenuto di recente il premio Nobel Joseph Stiglitz che ha puntato il dito sulle diverse strategie messe in campo. Secondo il docente della Columbia University, la decisione dei governi europei di fornire un sostegno diretto ai lavoratori attraverso varie forme di cassa integrazione (che sarà in seguito finanziata a sua volta dal programma SURE sul quale la UE ha già raggiunto un’intesa di massima) dovrebbe rivelarsi più efficace.

Trump, al contrario, ha promosso un piano di sostegno condizionato alle imprese: 350 miliardi di crediti potenzialmente a fondo perduto. In sintesi funziona così: le piccole e medie imprese ricevono il finanziamento a scadenza biennale e a un tasso dell’1%. Se le aziende non licenziano e mantengono inalterati i salari il loro debito con il governo viene cancellato.

«È un programma disastroso» ha dichiarato Stiglitz alla rivista Foreign Policy. «Il denaro non andrà dove ce n’è più bisogno ovvero ai soggetti più vulnerabili».

Inoltre, ha aggiunto l’economista, «si tratta di un piano progettato per incoraggiare le imprese a mantenere in organico i proprio lavoratori, solo che nessuno si è fidato dell’amministrazione Trump in merito alla remissione del debito». Le cifre, per ora, sembrano confermare le perplessità.

Allarme Asia-Pacifico

Male l’Europa, malissimo gli USA dunque. Ma la perdita del lavoro è un fenomeno preoccupante anche per l’area Asia-Pacifico. Secondo S&P la disoccupazione registrata nell’area potrebbe salire di oltre 3 punti percentuali, un incremento più che doppio rispetto alla media rilevata nei periodi di recessione “standard”. La crisi dovrebbe sottrarre 7,5 punti percentuali alla crescita economica dell’area producendo l’impatto più evidente sul lavoro a circa un anno di distanza dal picco recessivo.

A quel punto, rileva S&P, il tasso di disoccupazione in Australia e Nuova Zelanda dovrebbe salire di circa 3 punti; in Giappone l’aumento sarebbe superiore a 2 punti percentuali mentre in Corea del Sud si andrebbe oltre i quattro. Determinante la forte esposizione di queste economie al settore dei servizi, il più colpito dalle misure restrittive contro il coronavirus. Negli ultimi 20 anni, ricorda ancora l’agenzia, la crescita dell’occupazione nel terziario cinese è stata cinque volte superiore a quella registrata nella manifattura.

1,6 miliardi di lavoratori a rischio

Fin qui i dati certi. Ma quello del lavoro è un mondo variegato e nelle economie emergenti e in via di sviluppo la storia sfugge spesso al conforto delle statistiche ufficiali. Ad oggi 1,6 miliardi di lavoratori informali (pari a circa la metà della forza lavoro globale) rischiano di perdere i propri mezzi di sussistenza ha spiegato l’International Labour Organization. Privi di diritti, coperture, persino di visibilità, gli operatori di questa economia nascosta ma vitale per molti Paesi avrebbero già sperimentato un calo del 60% sul loro reddito nello spazio di appena un mese.

«Per milioni di lavoratori, niente reddito significa niente cibo, niente sicurezza e niente futuro» ha dichiarato, ripreso dalla Reuters, il direttore generale dell’ILO Guy Ryder.

Questi individui – ha aggiunto – «non hanno risparmi né accesso al credito. Sono il vero volto del mondo del lavoro. Se non li aiutiamo adesso, moriranno».