Criptovalute: una nuova frontiera dell’esclusione finanziaria?

Le criptovalute promettevano inclusione finanziaria, ma oggi rischiano di escludere donne e soggetti vulnerabili. Un’analisi tra dati, linguaggio e stereotipi

L'immagine è stata realizzata dalla redazione di Valori.it utilizzando DALL·E

Nate anche per includere nel discorso finanziario i cosiddetti unbakable, quei soggetti a cui è precluso per i più disparati motivi l’accesso ad un conto in banca, le criptovalute potrebbero trasformarsi in un nuovo strumento di esclusione delle donne e dei soggetti finanziariamente fragilizzati.

Un “viaggio” nell’ecosistema crypto a partire dal linguaggio, spesso volgare, violento, inutilmente ostico, respingente e utilizzato per allontanare ampie fasce della popolazione (prevalentemente donne) e per attirarne altre (soprattutto uomini giovani e giovanissimi). Un tentativo di unire le tessere di un puzzle che va oltre la finanza e che richiederebbe uno sforzo comune per approfondire la conoscenza delle monete virtuali.

Criptovalute: da strumento di inclusione a meccanismo di esclusione

Quando Satoshi Nakamoto pubblicò il whitepaper “Bitcoin: A Peer-to-Peer Electronic Cash System” il 31 ottobre 2008, la visione era rivoluzionaria: creare un sistema monetario decentralizzato, accessibile a chiunque, indipendentemente dalla propria posizione geografica, status sociale o capacità di accedere ai servizi bancari tradizionali. Una democratizzazione della finanza, potremmo dire. Un’occasione di emancipazione finanziaria soprattutto per gli unbanked: le persone che non hanno, per qualsiasi ragione, accesso anche solo al conto corrente bancario. E i numeri degli unbanked sono tutt’altro che marginali: secondo il report della Banca Mondiale datato 2022, nel mondo ci sono circa 1,4 miliardi di adulti che non hanno accesso a servizi finanziari di base. 

In questo contesto, dunque, le criptovalute sembrerebbero offrire una soluzione. Tutto ciò di cui si ha bisogno è uno smartphone e una connessione a internet. Non servono documenti d’identità, storia creditizia, o approvazioni da parte di istituzioni (o di partner). Un sistema teoricamente inclusivo. Eppure, dopo oltre 16 anni dalla nascita di Bitcoin, e di tutte le altre crypto (ad oggi ne esistono decine di migliaia), osserviamo un fenomeno sorprendente: l’ecosistema delle criptovalute è diventato uno degli ambienti più polarizzati dal punto di vista di genere. I dati sono inequivocabili.

Il gender gap nelle criptovalute: i numeri

Secondo un rapporto del 2024 dell’exchange Gemini, solo il 31% degli investitori in criptovalute a livello globale sono donne. Inoltre secondo il centro di ricerca del CoinJournal nel 2022:

  • Meno del 5% degli imprenditori e fondatori nel settore crypto erano donne.
  • Le donne detenevano solo il 37% del valore totale di Bitcoin.

Secondo i dati esposti dal Cointelegraph, in base ai dati disponibili nel 2023:

«Le donne ricoprono circa il 26% dei posti di lavoro nel settore crypto. Solo il 6% dei ruoli di leadership è ricoperto da donne, mentre il 94% dei CEO è di sesso maschile».

Siamo di fronte a un paradosso: una tecnologia nata per democratizzare l’accesso ai servizi finanziari sta creando uno degli ecosistemi più gender-biased del panorama tecnologico e finanziario contemporaneo.

Il linguaggio come barriera d’ingresso

Come si spiega questo paradosso? Le ragioni sono molteplici e complesse, ma ci soffermiamo su un aspetto in particolare: il linguaggio.

Il linguaggio dell’ecosistema crypto può apparire spesso volgare, violento, inutilmente ostico, respingente. Termini come “to the moon” (aspettative di crescita spropositata), “HODL” (un errore di battitura per “hold” che è diventato un meme), “whale” (persone o organizzazioni che hanno un’enorme quantità di crypto), “liquidity pool” (grosse masse di crypto e toke chiuse in smart contract per eseguire transazioni decentralizzate), costituiscono un gergo che serve a due scopi

  • da un lato, creare un senso di appartenenza tra chi è già “dentro”; 
  • dall’altro, allontanare i neofiti.

Ma c’è di più. Nei forum, nelle chat di Telegram, nei thread di X, per fare degli esempi, il linguaggio è spesso aggressivo, ipermascolino, a volte esplicitamente sessista. Gli “investitori” vengono chiamati “bros”, letteralmente “fratelli”. Si parla di “testicular fortitude” per indicare il coraggio necessario per mantenere gli investimenti in momenti di volatilità. Chi vende in perdita viene definito con termini che fanno riferimento alla mancanza di virilità.

Non è un linguaggio neutro. È un linguaggio che costruisce una narrazione specifica, che celebra valori culturalmente associati alla mascolinità tradizionale: il rischio, l’aggressività, la competizione, l’individualismo. Un linguaggio che implicitamente dice: questo spazio non è per te, se sei una donna.

Marketing e rappresentazione

Anche le campagne marketing nel settore delle criptovalute tendono a rivolgersi principalmente a un pubblico maschile. Secondo uno studio di BDC Consulting, molte startup e progetti crypto considerano il pubblico femminile come un “terreno inesplorato”, concentrando le loro strategie di engagement sugli uomini.

Questa focalizzazione potrebbe contribuire al divario di genere, escludendo le donne dalle conversazioni e dalle opportunità nel settore. Inoltre, la mancanza di materiali educativi accessibili e la già citata presenza di commenti offensivi nelle comunità online legate alle criptovalute sono spesso identificati come ostacoli significativi per le donne interessate a entrare nel mondo crypto.

Il mito della “neutralità” della tecnologia

Di fronte a queste osservazioni, molti sostenitori delle criptovalute obiettano che la tecnologia è neutrale, che gli algoritmi non hanno genere. Si tende ad affermare che «il codice non discrimina».

Ma questa visione ignora un fatto fondamentale: le tecnologie non esistono in un vuoto sociale. Sono progettate, implementate e utilizzate da esseri umani, all’interno di contesti sociali specifici, caratterizzati da relazioni di potere preesistenti. Se chi progetta, sviluppa e promuove una tecnologia appartiene a un gruppo demografico omogeneo (in questo caso, prevalentemente uomini, spesso giovani, spesso provenienti da background privilegiati), quella tecnologia rifletterà inevitabilmente le prospettive, i valori e le priorità di quel gruppo.

Le conseguenze dell’esclusione

Questa esclusione ha conseguenze reali. In un mondo in cui le criptovalute stanno trovando spazio nell’ecosistema finanziario globale, l’esclusione delle donne rischia di amplificare disuguaglianze economiche già esistenti.

Ma c’è di più. L’esclusione delle donne dallo sviluppo e dalla governance di queste tecnologie significa che le loro prospettive, esigenze e priorità non vengono adeguatamente considerate nel design dei sistemi che potrebbero contribuire a tracciare il futuro dell’economia globale.

Verso un ecosistema crypto più inclusivo

Cosa si può fare per invertire questa tendenza? Diverse iniziative stanno cercando di affrontare il problema. Organizzazioni come Global Women in Blockchain e SheFi stanno creando programmi educativi specificamente rivolti alle donne. Alcune piattaforme, stanno creando comunità di supporto e mentorship per donne nel settore.

Ma per un cambiamento significativo, è necessario un ripensamento più profondo. Non si tratta solo di “aggiungere donne e mescolare”, ma di ripensare le narrative, i valori e le pratiche dell’intero ecosistema.

Non è soltanto una questione finanziaria

In conclusione, il problema dell’esclusione delle donne dall’ecosistema crypto va oltre la finanza e tocca questioni più ampie di equità e giustizia sociale.

Le criptovalute sono nate con una promessa di democratizzazione e inclusione. Mantenere questa promessa richiede uno sforzo consapevole per costruire un ecosistema che sia veramente accessibile a tutti, indipendentemente dal genere. Questo significa ripensare il linguaggio, diversificare le rappresentazioni, creare spazi di apprendimento sicuri, e soprattutto, ascoltare e valorizzare le prospettive delle donne e di altri gruppi sottorappresentati.

Perché una rivoluzione finanziaria che esclude metà della popolazione mondiale non è una rivoluzione, ma solo una redistribuzione del potere all’interno degli stessi gruppi privilegiati.


Glossario Eticoin criptovalute

Bitcoin Pizza

“Bitcoin Pizza” è il nome dato al primo acquisto reale fatto con bitcoin: il 22 maggio 2010, un programmatore di nome Laszlo Hanyecz pagò 10mila Bitcoin per due pizze. All’epoca quei bitcoin valevano complessivamente circa 41 dollari, ma oggi varrebbero centinaia di milioni. Questo evento è diventato famoso e viene celebrato ogni anno come il “Bitcoin Pizza Day”.


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