La storia dei 50mila bitcoin nascosti in una scatola di popcorn
Le autorità americane hanno eseguito un maxi-sequestro di 50mila bitcoin trafugati illegalmente da una piattaforma del darkweb
Il Bitcoin, la prima criptovaluta in assoluto per età e valore, è finita spesso al centro del dibattito pubblico. Le maggiori criticità che lo contraddistinguono sono l’enorme consumo energetico necessario per il suo funzionamento, la forte volatilità e, da ultimo, ma non di rado, il suo utilizzo per riciclare denaro e per finanziare attività illegali. Stavolta ad essere finita al centro dell’attenzione della giustizia è una frode scoperta negli Stati Uniti. Una vicenda che risale a dieci anni fa, quando un ragazzo poco più che ventenne era riuscito ad intascare una fortuna. 50mila bitcoin ottenuti illegalmente, che gli sono stati sequestrati.
Il (secondo) più grande sequestro di criptovalute della storia
Partiamo però dall’attualità. A inizio novembre, un 32enne americano, James Zhong, si è dichiarato colpevole di frode telematica. Per questo ora rischia fino a 20 anni di carcere. Esattamente un anno fa, le autorità americane avevano sequestrato nella sua abitazione più di 50mila bitcoin, quasi 700mila dollari in contanti, e diversi lingotti d’oro e d’argento. I bitcoin erano conservati in un computer nascosto dentro ad una scatola di popcorn sommersa da lenzuola e nascosta nell’armadietto di un bagno. A questi se n’è poi aggiunto un altro migliaio.
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Al momento del sequestro, il valore di un bitcoin superava abbondantemente i 60mila dollari e stava per raggiungere il suo massimo storico (il 9 novembre 2021 avrebbe superato i 68mila dollari). L’ammontare complessivo delle criptovalute sequestrate quindi, superava i 3,36 miliardi di dollari. Rendendolo il più grande sequestro di criptovalute della storia e il secondo in assoluto in termini di valore. Da allora la criptovaluta in questione ha perso i tre quarti del suo valore.
Per questo la cifra sequestrata, al momento del comunicato del dipartimento di Giustizia, si aggirava intorno al miliardo. Ed è poi sceso ancora, ad 800 milioni di dollari circa. Anche dal punto di vista del numero di Bitcoin presi sotto custodia dalle autorità ogni record è stato battuto. A febbraio infatti ne sono stati sequestrati più di 94mila, frutto dell’hackeraggio della piattaforma Bitfinex nel 2016.
La storia dei 50mila bitcoin ottenuti illegalmente
I fatti per cui si è dichiarato colpevole Zhong risalgono al 2012, quando il ragazzo creò nove account su Silk Road – un mercato nero nel darkweb – depositando in ognuno tra i 200 e i 2mila bitcoin (che all’epoca valeva appena 11 dollari). Il meccanismo della truffa era abbastanza semplice. Dopo il deposito sul sito di Silk Road, nel giro di qualche secondo, veniva ritirata la somma più volte quasi istantaneamente, in modo che il sistema gli facesse prelevare la stessa cifra ripetutamente. È così che, per esempio, Zhong è riuscito a prelevare cinque volte dallo stesso account il deposito iniziale di 500 bitcoin, incassandone 2mila in più.
In questo modo è riuscito a trafugare dalla piattaforma più di 50mila Bitcoin, poi spostati al di fuori di Silk Road per cercare di nasconderne l’origine e di evitare che venissero rintracciati. Nel 2017, poi, dalla blockchain di Bitcoin nasceva un’altra criptovaluta, Bitcoin Cash, e a ogni possessore della prima ne vennero dati altrettanti della seconda. Così, grazie a quei 50mila Bitcoin ottenuti illegalmente, Zhong ne ottenne altrettanti in Bitcoin Cash. Che utilizzò successivamente per comprare altri 3.500 Bitcoin.
Silk Road, il mercato nero virtuale dove la droga si pagava in criptovalute
Ma cos’era la Silk Road sulla quale operava Zhong? Attiva tra il 2011 e il 2013, era un mercato nero del darkweb. Chiamato l’”Amazon della droga” perché vi si potevano comprare stupefacenti di quasi ogni tipo. In realtà vi si vendevano anche altri beni e servizi illegali, come armi, documenti falsi, virus informatici, e servizi di hackeraggio. I pagamenti avvenivano esclusivamente in Bitcoin, in modo da garantire l’anonimato e rendere più difficile il tracciamento dei fondi.
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Nel 2013 le autorità statunitensi chiusero il sito e ne arrestarono il fondatore, Ross William Ulbricht. Quest’ultimo è stato poi ritenuto colpevole di sette capi d’accusa – tra cui vendita di sostanze stupefacenti, riciclaggio di denaro e reati informatici. Nel 2015 la giustizia americana lo ha condannato a una multa di 183 milioni di dollari e, soprattutto, all’ergastolo.