Disuguaglianze e rischi sanitari, le città nella morsa della crisi climatica

Il World Resources Institute sottolinea come l’aumento delle temperature determinerà un aumento delle disuguaglianze. Specie nelle megalopoli dei Paesi a basso reddito

Andrea Di Turi
La città indiana di Bangalore ha lanciato un piano d'azione contro la crisi climatica © Noppasin/iStockphotos
Andrea Di Turi
Leggi più tardi

Non solo assai meno abitabile: il mondo sotto scacco della crisi climatica sarà anche più disuguale. In particolare le grandi città dei Paesi a basso reddito. Questo dicono i dati diffusi dal World Resources Institute (WRI). A conferma del fatto che nella lotta al “collasso climatico”, come lo chiama il segretario generale dell’Onu António Guterres, la dimensione sociale è importante quanto quella ambientale.

L’impatto della crisi climatica sulle grandi città

Lo studio ha analizzato cosa succederebbe nelle quasi mille città più grandi del pianeta (quelle con oltre 500mila abitanti) in differenti scenari di aumento delle temperature. O, sempre per dirla con Guterres, ai differenti livelli di “ebollizione globale” (da 1,5 a 3 gradi centigradi in più rispetto all’epoca pre-industriale) ai quali si potrebbe arrivare entro il 2100 se fallissero gli impegni per ridurre prontamente le emissioni di gas serra.

In queste metropoli oggi vivono oltre 2 miliardi di persone, un quarto abbondante della popolazione mondiale. Tutte le aree urbane del pianeta ospitano complessivamente 4,4 miliardi di persone. Si prevede che altri 2,5 miliardi, specie in Africa e Asia, vi si trasferiranno entro il 2050. Non stupisce, dunque, che lo studio abbia messo al centro le grandi città, che saranno assolutamente determinanti nella lotta alla crisi climatica.

Disuguaglianze e rischi sanitari a rischio di esplosione

Secondo le stime, se si arrivasse intorno ai +3 gradi centigradi, circa 600 milioni di individui sarebbero esposti a inondazioni causate dall’innalzamento del livello del mare, la produzione alimentare potrebbe contrarsi della metà, la durata media delle ondate di calore crescerebbe considerevolmente, il rischio di contrarre malattie trasmesse dagli insetti pure, le perdite di habitat sarebbero catastrofiche.

Scenari apocalittici ma purtroppo ricorrenti negli studi sui rischi che ci attendono con un clima sempre più fuori controllo. Ciò che lo studio di WRI mette maggiormente in evidenza rispetto ad altri è che, di pari passo con l’aumento delle temperature, cresceranno anche le disuguaglianze. In questo senso, gli abitanti delle città a basso reddito saranno i più esposti. Su di loro ricadranno maggiormente gli impatti derivanti dal combinato disposto dell’aumento delle temperature, dei rischi di contrarre malattie e dello stress a cui saranno sottoposti i sistemi sanitari.

Il futuro delle metropoli africane, sudamericane e asiatiche

Nonostante l’intero Continente africano sia responsabile solo del 2-3% delle emissioni globali di gas serra, le città dell’Africa sub-sahariana saranno fra le più colpite per via delle ondate di caldo più frequenti e lunghe che andranno di pari passo con l’aumento della domanda di energia per il raffreddamento. Una città come la senegalese Dakar, in uno scenario +3°C, rischierebbe una media di sette ondate di calore l’anno, anche di un mese l’una. Il che vorrebbe dire in media un 13-20% in più di domanda di energia per il raffreddamento. Simultaneamente, saranno sempre di più i giorni di picco di arbovirus, responsabili di zoonosi che possono infettare artropodi e vertebrati.

Dietro quelle africane, fra le città più a rischio di veder esplodere le disuguaglianze ci sono quelle dell’America Latina. E poi l’Indonesia. Nello scenario +3°C, tre delle quattro città al mondo con il maggiore aumento stimato dei giorni di picco di arbovirus sono Jember, Padang e soprattutto Yogyakarta, dove i giorni in più rispetto a uno scenario +1,5°C sarebbero addirittura 273.

Le grandi città che cambiano rotta per difendersi dalla crisi climatica

Purtroppo lo scenario +3°C è quello verso il quale siamo diretti, dice il rapporto, se non intraprenderemo azioni significative di riduzione delle emissioni. Non fa ben sperare che, a livello globale, gli ultimi tredici mesi abbiano fatto segnare temperature da record. E neppure che il 2024 sia sulla buona strada per diventare l’anno più caldo mai registrato.

Lo studio lancia però anche un messaggio di speranza, o meglio una chiamata all’azione, invitando a trarre ispirazione dalle città che stanno già provando a cambiare rotta. Come Bangalore, 12 milioni di abitanti, capitale dello Stato indiano del Karnataka, che ha lanciato un piano d’azione per il clima cui hanno partecipato tutti i settori della società. Si focalizza sull’espansione degli spazi verdi e la piantumazione di nuovi alberi, ma guarda anche alla gestione di rifiuti e acque piovane, ai trasporti, alla biodiversità.

A Rio de Janeiro, che conta oltre 6 milioni di abitanti, i giorni di picco di arbovirus potrebbero crescere da 69 a 118 in uno scenario +3°C. Dato il clima sempre più ospitale per le zanzare portatrici della dengue, l’amministrazione sta investendo non solo nei vaccini ma anche nel controllo delle zanzare. Sia con operatori sanitari che setacciano il tessuto urbano alla ricerca dei loro luoghi di riproduzione, sia sfruttando il Wolbachia, un batterio che infetta gli insetti. Come sta facendo anche l’indonesiana Yogyakarta (più di 3 milioni di abitanti).

Lo studio, infine, propone una sorta di ricetta per città più resilienti e meno disuguali di fronte ai rischi della crisi climatica. Prevede un raddoppiamento degli sforzi per ridurre le emissioni, più finanziamenti per le strategie di adattamento per le città a basso reddito, più resilienza delle infrastrutture, più collaborazione tra città e governi, adozione di approcci basati sui dati. Niente di particolarmente nuovo. Ma bisogna volerlo fare.