Crisi climatica, il Pil mondiale perderà il 19% entro il 2050

L’economia globale subirà una contrazione pari al 19% da qui al 2050 a causa della crisi climatica. Lo dice uno studio pubblicato su Nature

Daniele Guidi
Lo studio di Nature stima i danni provocati dalla crisi climatica all'economia globale, impattando per esempio sulle rese agricole, sulle infrastrutture e sulla produttività del lavoro © ancoay/iStockPhoto
Daniele Guidi
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Il mondo è in piena crisi climatica. Lo abbiamo studiato, sperimentato, compreso. L’ultimo richiamo arriva dallo Stato del clima in Europa 2023, il report pubblicato dal servizio europeo di monitoraggio dei cambiamenti climatici Copernicus e dall’Organizzazione meteorologica mondiale (Omm). L’anno scorso è stato eccezionale sotto ogni punto di vista, a partire dalle temperature. Eppure, in un mondo che si trova di fronte a una catastrofe annunciata, troppo poco è stato fatto per “salvarci”. E anche se oggi riducessimo in modo drastico le emissioni di gas serra in atmosfera, come la CO2 e il metano causate dall’utilizzo di combustibili fossili, probabilmente non saremmo in grado di arrestare un declino dell’economia globale.

Lo afferma uno studio realizzato da un gruppo di ricercatori del Potsdam Institute for Climate Impact Research (PIK) e pubblicato sulla rivista scientifica Nature. La ricerca fa chiarezza sul fatto che – in ogni caso – l’economia globale subirà una contrazione pari al 19% da qui al 2050 per via della crisi climatica. Un danno economico fino a sei volte maggiore rispetto ai costi che dobbiamo sostenere per la mitigazione. Cioè per contenere l’aumento della temperatura media globale entro i 2 gradi, come chiesto dall’Accordo di Parigi sul clima, adottato dalla comunità internazionale nel 2015.

I danni della crisi climatica all’economia globale arriveranno a 38mila miliardi di dollari nel 2050

La ricerca si basa su dati raccolti in oltre 1.600 regioni di ogni continente nell’arco di quattro decenni. Questi sono stati poi analizzati per prevedere gli impatti futuri dei cambiamenti climatici sulla crescita economica, considerando anche la loro persistenza nel tempo. I danni sono stimati in 38mila miliardi di dollari all’anno a livello globale, con una forchetta che oscilla tra i 19mila e i 59mila miliardi di dollari al 2050. Visto che la situazione potrebbe peggiorare ulteriormente, dando vita a eventi estremi ancora poco prevedibili.

«Riduzioni significative a livello di reddito sono previste nella maggior parte delle regioni, inclusi il Nordamerica e l’Europa. Mentre l’Asia meridionale e l’Africa rischiano di essere le aree più colpite. Questo a causa dell’impatto dei cambiamenti climatici su vari aspetti rilevanti per la crescita economica come la resa agricola, la produttività sul posto di lavoro o i danni alle infrastrutture», afferma Maximilian Kotz, ricercatore che ha guidato lo studio del PIK.

Gli impatti dei cambiamenti climatici contribuiscono alle disuguaglianze

Questo scenario evidenzia sì l’urgenza di intraprendere azioni rapide e drastiche in termini di mitigazione delle emissioni e di adattamento ai cambiamenti climatici, ma pone anche l’accento sulla necessità di adottare un nuovo modello economico che integri principi quali l’etica e la sostenibilità nel bilancio finale. Un modello, dunque, che non si limiti a valutare il profitto a breve termine, ma che consideri anche l’impatto di medio e lungo periodo sulle risorse del pianeta e sul benessere delle generazioni future. Non è un caso, infatti, se oggi, per la prima volta da anni, stiamo osservando e vivendo un’inversione di tendenza – in senso negativo – anche nella lotta contro la povertà e la riduzione delle disuguaglianze.

«Il nostro studio evidenzia l’enorme disuguaglianza che si portano dietro gli impatti climatici. Troviamo danni quasi ovunque, ma i Paesi tropicali soffriranno di più perché sono già caldi. Ulteriori aumenti di temperatura, quindi, lì colpiranno di più. I Paesi meno responsabili della crisi climatica rischiano di subire una perdita economica fino al 60% maggiore rispetto ai Paesi già oggi con un Pil più elevato e del 40% in più rispetto ai paesi con emissioni più elevate», ha aggiunto Anders Levermann, a capo del Dipartimento di Ricerca in Scienze della Complessità presso il Potsdam Institute e co-autore dello studio.

In questo contesto, la finanza etica e un’economia che includa valori fondamentali per lo sviluppo sostenibile assumono un ruolo cruciale. Non si tratta più di scelte ideologiche, ma di necessità concrete per garantire la resilienza delle nostre economie e la salvaguardia della nostra stessa specie. Il tempo di pretendere azione è ora, perché stiamo già vivendo decenni di ritardo ingiustificato e ingiustificabile.