Il ddl Capitali del governo affossa l’azionariato critico e la democrazia

La norma appena approvata vuole eliminare ogni forma di discussione interna. Ma così facendo allontana gli investimenti

Un'assemblea generale degli azionisti di Eni © Eni/Flickr

Il 7 febbraio, con l’approvazione del ddl Capitali, si è inferto un colpo mortale alla partecipazione democratica degli azionisti di minoranza alla vita delle imprese quotate in Italia. Per la prima volta al mondo, un governo dà la possibilità alle imprese di convocare le assemblee degli azionisti senza la partecipazione – online o fisica – degli azionisti. In modo permanente.

Con l’articolo 11 del ddl Capitali, infatti, l’Italia ha deciso di prorogare indefinitamente le norme di sicurezza sanitaria introdotte durante la pandemia da Covid-19. Nonostante l’emergenza sia da tempo superata. Si tratta di un pericoloso precedente che potrebbe essere seguito da altri governi, in altre parti del mondo.

La possibilità di resistere

Le imprese quotate in Borsa in Italia, però, non saranno obbligate a convocare assemblee prive della partecipazione di azionisti. Avranno solo facoltà di farlo. E per esercitare tale facoltà dovranno modificare i loro statuti. Fondazione Finanza Etica e la rete di azionisti attivi SfC – Shareholders for Change chiederanno quindi alle imprese di non farlo. Così da permettere anche in futuro la partecipazione degli azionisti alle assemblee.

D’altra parte, se le aziende vogliono continuare a definirsi “sostenibili” non possono scegliere una via, di fatto, anti-democratica come quella prevista dal governo italiano. Stigmatizzata anche dal presidente della Consob, Paolo Savona, proprio durante la sua audizione alla commissione finanze del Senato sul ddl Capitali. «Tale disposizione incide, infatti, sui diritti degli azionisti e sulla partecipazione assembleare e non appare in linea con i principi ispiratori della direttiva Shareholders Right», ha sottolineato Savona.

Il ruolo dell’Assemblea nell’esercizio dei diritti

Secondo l’esecutivo italiano, nella relazione illustrativa del ddl Capitali, l’assemblea avrebbe perso la propria funzione informativa, di dibattito e di confronto essenziale al fine della definizione della decisione di voto da esprimere. Ma qui c’è un errore sostanziale.

Nella nuova norma si snatura in effetti il ruolo dell’assemblea degli azionisti e si infligge un duro colpo alla democrazia interna alle imprese. Infatti l’assemblea non è un mero luogo di informazione agli azionisti sulle scelte del management, ma il momento principale nel quale gli azionisti esercitano il loro diritto legato alla funzione di indirizzo e di controllo sull’operato degli stessi amministratori. Molti studi ci indicano questo ruolo come fondamentale: l’assemblea è infatti lo strumento attraverso il quale gli azionisti possono discutere le questioni legate alle responsabilità e alla governance dell’azienda.

L’importanza del confronto

D’altra parte lo stesso Codice di autodisciplina emanato dalla Borsa Italiana è esplicito al riguardo quando stabilisce che è opportuno «favorire la partecipazione più ampia possibile alle assemblee e rendere agevole l’esercizio dei soci». Questo è un impegno che Borsa Italiana raccomanda agli amministratori.

E, infatti, spesso le aziende collocano i soci nella parte superiore del diagramma aziendale per sottolineare il ruolo che questi hanno nella vita dell’sssemblea. La quale non è un semplice rituale, né una formalità legata alla votazione delle deliberazioni poste all’ordine del giorno. Bensì un momento essenziale che riguarda il modo di confronto e d’interazione degli azionisti con l’amministrazione.

L’importanza dell’azionariato critico

In ogni caso, da almeno vent’anni le assemblee delle imprese italiane sono luoghi di dibattito aperto tra le imprese e gli azionisti. In particolare quelli di minoranza che sono espressione di fondi di investimento etici, organizzazioni ambientaliste e per i diritti umani. Dalle assemblee le imprese hanno tratto suggerimenti importanti sulle proprie politiche ESG.

Inoltre gli azionisti di minoranza in genere hanno interesse a detenere azioni a medio-lungo termine e quindi hanno un interesse per le vicende aziendali. Spesso, sono proprio questi che partecipano e animano le assemblee (l’agm di Generali, per esempio, era sempre partecipata da oltre 500 soci in presenza).

D’altra parte le società talvolta si disinteressano agli interessi degli azionisti di minoranza perché il loro apporto di risorse all’azienda è ritenuto trascurabile. Ma anche questo è un errore. Essi infatti, proprio perché non interessati alla speculazione sulla compravendita frequente dei titoli, consentono alla società di avere una liquidità maggiore.

La discussione è il cuore della democrazia

L’assemblea è il luogo in cui gli azionisti possono far sentire la propria voce. Ma il governo non si cura degli investitori retail. E sostiene che gli investitori istituzionali e i gestori di attività, utilizzano altre occasioni di incontro diretto con il management della società in applicazione delle politiche di engagement. Questo, a nostro parere, è vero solo per gli investitori istituzionali medio-grandi. Per i piccoli azionisti è molto difficile avere incontri diretti con il management delle società. E sarebbe anche controproducente in termini di tempo per le stesse società.

È per questo motivo che esistono le assemblee degli azionisti: per permettere a tutti loro, anche a chi ha una sola azione, di interloquire con il management della società almeno una volta all’anno. Siamo qui al cuore del tema della democrazia, che il governo tende a deprimere. Infatti nella modalità di svolgimento delle assemblee stabilito dalla nuova normativa, non viene consentito di proporre deliberazioni. Quindi si impedisce all’azionista di esercitare il proprio diritto di proposta, che è uno dei diritti fondanti della figura stessa del socio.

I diritti degli azionisti

La riforma introdotta dal governo consente (non obbliga, come detto) alle aziende, il cui statuto lo preveda, di svolgere le assemblee esclusivamente attraverso il rappresentante designato dalla società. Cioè in genere attraverso una società che raccoglie le deleghe degli azionisti a partecipare, presenta domande scritte prima dell’assemblea e vota secondo il mandato degli azionisti sui diversi punti all’ordine del giorno. Questo impedisce all’azionista di interloquire direttamente con l’azienda durate l’assemblea e di essere presente, magari online.

Ma cosa succede se, durante lo svolgimento dell’assemblea si evidenziano circostanze di rilievo, ignote all’azionista al momento del rilascio della delega a votare al rappresentante designato? Niente paura, il ddl capitali del governo ha una soluzione anche per questa evenienza. Utilizzando l’articolo 134 del Regolamento emittenti Consob n.11971/1999, si chiarisce che il rappresentante designato potrà votare in modo difforme da quanto indicato dall’azionista delegante. Quando queste circostanze siano «tali da far ragionevolmente ritenere che questi, se le avesse conosciute, avrebbe dato la sua approvazione». Il rappresentante designato è così onnisciente da immaginarsi “ragionevolmente” che l’azionista avrebbe votato a favore se fosse stato presente in aula o online durante l’agm. Ora, se non è questa una violazione dei diritti degli azionisti non sappiamo quale altra potrebbe esserlo.

La partecipazione è il cuore degli investimenti

Dunque, la novità legislativa introdotta dal governo svuota di funzioni l’assemblea. Rende più lontano e impalpabile il dialogo fra vertici e azionisti delle imprese. Comprime i diritti degli azionisti. Riduce quegli spazi di democrazia economica che costituiscono il motivo eziologico per cui l’articolo 47 della Costituzione può dire che «La Repubblica […] favorisce l’accesso del risparmio popolare […] al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese».

Senza la possibilità di una reale partecipazione degli azionisti alla vita dell’azienda, perché mai la nostra Repubblica democratica dovrebbe incoraggiare l’investimento nei grandi complessi produttivi del Paese?