Deforestazione, 7 imprese su 10 se ne lavano le mani. E chi investe non lo sa
Investitori sempre più preoccupati per le deforestazioni. Ma il 70% delle aziende non risponde sul tema. Esponendosi così a un rischio finanziario da $30 miliardi
A causa della deforestazione vengono persi ogni anno circa cinque milioni di ettari di foresta, ovvero 15 campi da calcio al minuto. Eppure oltre il 70% delle imprese non è trasparente rispetto al proprio coinvolgimento, diretto o indiretto, nel fenomeno. Queste le stime, tutt’altro che confortanti, elaborate e pubblicate in un recente rapporto dell’organizzazione internazionale di consulenza CDP disclosure insight action che supporta aziende ed enti pubblici «per misurare e gestire rischi e opportunità in materia di cambiamenti climatici, sicurezza idrica e deforestazione».
Dall’analisi pubblicata emergono diversi aspetti chiave, sia in ottica di investimenti responsabili che sotto il profilo della responsabilità sociale di impresa. Innanzitutto l’eventuale contrasto all’avanzamento delle pratiche di disboscamento – legale o illegale che sia, attuato tramite incendi o meno – è frenato colpevolmente, talvolta anche consapevolmente, da un limitato livello di trasparenza e conoscenza delle azioni delle compagnie e dei loro fornitori.
Ma non solo. Oltre alle conseguenze, ormai piuttosto note sul fronte climatico e ambientale, la deforestazione mette a rischio gli stessi bilanci aziendali. Motivo per cui un crescente controllo degli investitori e dei consumatori può risultare salutare sotto diversi aspetti.
Deforestazione, silenzio irresponsabile dalle grandi compagnie
Il dato più sconcertante è che “non sa o non fornisce informazioni” più di un migliaio tra le 1500 imprese interrogate da CDP nel 2018 a proposito del loro coinvolgimento nei quattro settori maggiormente a rischio per quanto riguarda le pratiche di deforestazione (legname, olio di palma, bovini e soia).
Peggio ancora: oltre 350 di queste società hanno costantemente omesso di fornire informazioni a investitori e azionisti in proposito nei tre anni precedenti. Tra queste, marchi importanti come il gigante dell’olio di palma Mondelez International, Sports Direct International, che vende abbigliamento e calzature in tutto il mondo, Domino’s Pizza, che impiega centinaia di migliaia di scatole di cartone per distribuire le sue pizze. Ma tra le compagnie che CDP include nella lista di chi non sa / non risponde ci sono anche l’italiana Ferrero, e poi Ikea, Gap, l’ormai nota Louis Dreyfus.
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I loro silenzi sono un pessimo segnale, che contraddice i buoni propositi manifestati spesso dalle medesime aziende, desiderose, a parole, di porre rimedio a questa situazione. Il rapporto CDP ricorda infatti che ben 450 corporation e oltre 50 governi avevano assunto un impegno pubblico ad agire per eliminare le pratiche di deforestazione entro il 2020.
Ciononostante poco si muove: quasi un quarto delle società non ha ancora intrapreso azioni significative, né fissando obiettivi a lungo termine, né aumentando il livello di tracciabilità e certificazione, né intervenendo sulle catene di approvvigionamento, né partecipando a iniziative esterne verso l’azzeramento del disboscamento. Una serie di passi per cui è necessario innanzitutto avere consapevolezza di quali tra i propri prodotti contemplino un rischio per le foreste. E anche questa conoscenza di base è ridotta.
Rispetto alla definizione di traguardi concreti, «non tutte le aziende lo stanno facendo – scrivono gli analisti -, e di quelle che hanno fissato obiettivi, circa l’83% termina nel 2020». Un orizzonte troppo limitato, cui si associano luci e ombre nei programmi a seconda del tipo di filiera: circa l’82% delle compagnie del settore del commercio al dettaglio «ha ottenuto la certificazione per la produzione di legname. Tuttavia, quando si tratta di bovini e soia, questi numeri iniziano a diminuire».
Un terzo delle aziende esaminate da CDP riferisce inoltre di non aver iniziato a lavorare con i propri fornitori per sostenere la transizione e solo il 14% delle società che controllano la terra di produzione ha intrapreso impegni per il 2020.
Rischi non calcolati: spada di Damocle da 30 miliardi di dollari
Ma non è tutto. Perché a fronte del panorama appena descritto, che non rassicura in prospettiva ambientale e sociale, esiste una grave criticità di tipo finanziario. Il perché è presto spiegato: un buon 15% delle entrate delle compagnie interrogate dipende genericamente da materie prime a rischio di deforestazione. Tuttavia quasi un terzo (29%) delle aziende non include le questioni connesse alle foreste nelle proprie valutazioni di rischio, anche se una percentuale ben più alta (il 92%) di quelle che lo fanno individua rischi definiti come “sostanziali” connessi all’attività di disboscamento.
In particolare, dopo che, nel 2018, CDP ha chiesto per la prima volta alle imprese di riferire su eventuali perdite associate al rischio di deforestazione individuato, solo un terzo (28%) di loro è stata in grado di fornire questo dato. Ma la cifra complessiva calcolata da quelle che hanno concluso tale stima ammonta a 30,4 miliardi di dollari. E il 16% di queste perdite potenziali potrebbe essere maturato nei prossimi tre anni.
Dalla sostenibilità 50 miliardi di dollari di vantaggi
Si tratta di un segnale d’allarme per le compagnie, per gli investitori e azionisti. E un bell’incentivo a premere perché gli impegni presi si traducano in realtà quanto prima. Tanto più se all’azzeramento dei rischi finanziari principali (perdite dirette, conseguenze di origine regolatoria e danni reputazionali) si sommano i benefici economici potenziali per chi invece persegue con successo obiettivi di responsabilità sociale e sostenibilità ambientale.
Dal contrasto alla deforestazione derivano soprattutto vantaggi sotto il profilo del valore del marchio, della presenza sul mercato in espansione di prodotti realizzati in modo sostenibile, dell’avanzamento in materia di ricerca e sviluppo. Ben 76 delle compagnie indagate segnala «opportunità di business per 26,8 miliardi di dollari», di cui quasi il 55% (14,8 miliardi) considerati come altamente probabili o pressoché certi per chi intenda investire in questa direzione.
Quasi metà delle aziende ignora il legame tra deforestazione e crisi climatica
D’altra parte i ricercatori pongono anche l’accento su un dato quasi sorprendente: appena il 44% delle aziende indica come diretta conseguenza della conservazione delle foreste la diminuzione delle emissioni di gas serra e un aumento del sequestro di anidride carbonica.
In sostanza, più della metà di queste imprese (56%) non ha ben chiaro o non condivide il legame – ormai scientificamente attestato – tra deforestazione e cambiamento climatico.
Il risultato ha dell’incredibile: soprattutto dopo che il movimento Fridays for future ha portato in piazza più di 1,4 milioni di giovani in 2233 città in nome di un’azione decisa contro la crisi climatica. E dopo che – ricorda CDP – dal 1990 ad oggi sono state intentate circa 1300 azioni legali contro governi e corporation, denunciati per contribuirvi in vario modo.