La transizione energetica – ovvero, il processo di abbandono delle fonti fossili – è uno dei grandi fenomeni della nostra epoca. Da un lato le energie un tempo alternative – le rinnovabili – conquistano di anno in anno quote di consumo sempre maggiori. Dall’altro, gas, carbone e petrolio stanno dimostrando una vitalità che preoccupa la comunità scientifica. Il settore energetico è infatti responsabile del 75% delle emissioni climalteranti globali, che a loro volta causano il cambio delle condizioni climatiche globali. Con tutto ciò che questo comporta in termini di incendi, alluvioni, siccità, fenomeni metereologici estremi.
In Italia il dibattito è esploso proprio attorno all’installazione di nuove fonti rinnovabili. Eolico e fotovoltaico rappresentano secondo l’International Energy Agency (Iea) meno del 10% del mix energetico nazionale, ma la loro crescita ha generato preoccupazione in alcune delle comunità coinvolte e in parte del mondo politico e mediatico. Per fare un po’ d’ordine sui quesiti più frequenti e sulle conseguenze tecniche e politiche del passaggio alle rinnovabili, Valori.it ha preparato questa breve chat. Se non siete soddisfatti delle risposte o avete altre domande, scriveteci a clima@valori.it.
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Senti Lorenzo, sto leggendo un po’ di cose su questa famosa transizione energetica. Sembra che ci siano un sacco di problemi, tanta gente che si oppone…
Ciao Valerio! Sicuramente l’opposizione alla transizione energetica è un fenomeno in crescita, soprattutto nell’Europa mediterranea. Cosa stavi leggendo?
Ma di tutto! Che le energie pulite in realtà inquinano più del fossile, che distruggono la biodiversità, rovinano il paesaggio…
Okay, prendiamo questi dubbi una alla volta. Cosa vuoi sapere?
Per esempio, gli Stati Uniti vorrebbero limitare l’uso dell’energia eolica perché le pale uccidono balene ed uccelli. È vero?
È vero che a Donald Trump non piacciono le pale eoliche! Per il resto, c’è poca sostanza. Non risultano casi conosciuti di cetacei morti per via dell’eolico offshore, cioè in mare. Gli uccelli possono sì andare a sbattere contro i rotori delle pale, ma i dati disponibili ci dicono che i volatili che perdono la vita scontrandosi con le finestre delle nostre case o mangiati dai gatti domestici sono molti di più.
Buono a sapersi. Leggo però che le rinnovabili rischiano di consumare molto suolo.
Dipende. Il fotovoltaico sui tetti, ad esempio, non ne consuma affatto. Quello a terra lo occupa, ma non lo consuma: a differenza di quanto avviene quando costruiamo un edificio, i pannelli si possono smontare e portare via. L’eolico ha invece bisogno di basi in cemento – come una casa – ma il territorio che occupano è molto contenuto.
Di che cifre parliamo? E soprattutto, non possiamo tagliare la testa al toro e installare solo il fotovoltaico sui tetti?
Ci sono molte stime. Secondo il Gruppo Impianti Solari, che riunisce alcune aziende del settore, installando 5GW all’anno di solare a terra per i prossimi dieci anni, occuperemmo lo 0,6% del terreno agricolo nazionale. In Sardegna – una delle Regioni dove più si dibatte del tema – uno studio dell’Università di Cagliari stima che si possa raggiungere l’80% di decarbonizzazione usando l’1% circa del territorio.
Per darti un’idea, comunque, in Paesi come Svezia o Stati Uniti lo spazio occupato dal solare a terra è molto meno di quello occupato dai campi da golf.
E riguardo l’ipotesi solo solare sul tetto?
Hai ragione, mi stavo dimenticando! Abbandonare le fonti fossili con una sola fonte energetica è molto difficile, se non impossibile. La comunità degli esperti suggerisce di usare un mix di fonti pulite per equilibrare la rete. E poi i tetti sono tanti ma non infiniti, ecco.
Ma in tutto ciò, siamo sicuri che queste rinnovabili funzionino davvero? In Spagna sono rimasti senza luce per colpa loro…
Sia l’Ipcc, l’organo scientifico delle Nazioni Unite relativo alla crisi climatica, sia l’Iea, l’ente dell’Ocse dedicato all’energia, assicurano che la parte del leone nella transizione energetica la faranno eolico e solare. Le cause del blackout spagnolo sono ancora sotto indagine, ma i primi studi parlano di mancati investimenti sulla stabilità della rete e di centrali fossili che non sono entrate in funzione quando avrebbero dovuto.
Però rimane il fatto che se non c’è sole e non c’è vento non producono, giusto?
Giusto, ma c’è il ma. L’intermittenza è il principale limite delle rinnovabili. Per risolverlo, sia i piani futuri che gli esperimenti già in corso sulle reti prevedono un insieme di metodi. Le dighe e le batterie possono accumulare l’energia in eccesso e rilasciarla quando manca. Le cosiddette reti intelligenti possono regolare meglio i flussi. E un mix di molte fonti pulite fa sì che quando manca una, altre possano compensare. Anche per questo ti dicevo che sarebbe tosto fare la transizione solo con uno strumento, come il fotovoltaico sui tetti.
Senti, e per quanto riguarda le emissioni? So che le rinnovabili servono a ridurle e combattere così la crisi climatica, ma ieri in tv dicevano che in realtà inquinano quanto il fossile. Perché devi estrarre i materiali, costruirle, smaltirle.
Certo che guardi dei programmacci…
Non preoccuparti, è assolutamente falso. Esistono molti studi dedicati proprio a confrontare le emissioni delle diverse fonti energetiche prendendo in considerazione l’intero ciclo di vita. I risultati cambiano a seconda dell’area geografica e delle specifiche tecniche degli impianti, ma le rinnnovabili emettono praticamente sempre molto meno di carbone, gas e petrolio.
Tanto per avere due numeri in mente: secondo una ricerca dell’Unece del 2022, per ogni kilowattora prodotto col carbone si generano come minimo 753 grammi di CO2 equivalente, col gas almeno 221. I valori minimi di solare, fotovoltaico ed idroelettrico per la stessa quantità di energia stanno attorno ai 7/8 grammi.
Sono un sacco di informazioni utili, ti ringrazio. È che la fuori si legge e si sente davvero di tutto.
Diciamo che la disinformazione a volte ha degli aiutini. Negli Stati Uniti, dei ricercatori della Brown University hanno trovato diversi contatti tra studi legali legati alle multinazionali del fossile e alcune delle associazioni che si oppongono alle rinnovabili. Uno studio del Ccdh di un anno fa mostrava come molte pagine e gruppi social negazionisti della crisi climatica abbiano cambiato strategia comunicativa: dal negare l’esistenza del problema ad attaccare le soluzioni.
Vicino a casa mia c’è un comitato anti-eolico, ma non mi sembrano sgherri della lobby del fossile.
Non lo sono infatti. In Italia esistono molti gruppi più o meno organizzati che si oppongono ad impianti di energia rinnovabile. Alcuni sono vittime della disinformazione di cui parlavamo, e finiscono col ripetere questi falsi argomenti. Altri invece evitano certe trappole. La questione è complessa perché non è solo tecnica, ma anche e sopratutto politica.
È vero che esistono anche da noi dei casi in cui c’è quantomeno una vicinanza culturale tra media conservatori, mondo del fossile e movimenti contrari alle rinnovabili o altre infrastrutture ecologiche. A Roma si è parlato molto della campagna del quotidiano di destra Il Messaggero contro i tram, e dei legami che secondo alcuni questa campagna avrebbe con gli interessi dell’editore del giornale, impegnato in un progetto concorrente. In Sardegna alcuni dei comitati che si definiscono anti-speculazione energetica coltivano ottimi rapporti con l’Unione Sarda, il principale gruppo editoriale dell’isola storicamente favorevole all’uso del gas e nel cui consiglio d’amministrazione siede un lobbista della multinazionale del fossile Snam.
Ma sarebbe un errore credere che i dubbi e le perplessità di molti cittadini e cittadine derivino solo dall’impatto delle lobby o della stampa contraria alla transizione. È vero ad esempio che in Italia è possibile installare un impianto energetico (come più o meno ogni altra industria) quasi senza bisogno di coinvolgere le comunità locali. Ed è vero che, essendo aziende private a presentare i progetti relativi a pale e pannelli, i profitti vanno in gran parte a chi ne detiene la proprietà, non a chi ci lavora o a chi vive nei territori circostanti. L’ostilità alle rinnovabili nasce anche da qui, e la risposta – quale che essa sia – può essere solo politica, non tecnica.
E si sta lavorando per dare queste risposte?
Beh…
Ci sono dei tentativi. Molte amministrazioni locali stanno promuovendo le comunità energetiche rinnovabili – che sono un’ottimo modo per democratizzare il settore e redistribuire i profitti. Per gli impianti di taglia più grande ci sono molte possibilità – dalle imprese di proprietà dei comuni alla creazione di player regionali o statali. C’è stato anche un tentativo – molto poco finanziato – di installare gratuitamente pannelli solari sui tetti delle famiglie a basso reddito, per decarbonizzare e lottare contro la povertà energetica assieme.
Ma nell’insieme non c’è, per ora, una forte spinta per cambiare le regole del gioco del mondo energetico.
Insomma, la transizione serve e sulle rinnovabili girano tante frottole. Ma sarebbe più facile farla, la transizione, se la facessimo più democratica?
Perfetto! La prossima volta mettiamo te a rispondere alle domande, Valerio!
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